I frutti della pelle. Amplificazione di un sogno ricorrente
Torniamo a occuparci di sogni ricorrenti. Questo flusso onirico si è presentato più volte a Mirko, con alcune variazioni, nell’arco di un paio di mesi.
Vagavo nella nebbia, con una persistente sensazione di freddo, e avvertivo il fastidioso contatto con l’erba, bagnata e verdissima. A un certo punto incontravo un albero, dai cui rami pendevano dei frutti simili a delle arance. Appena ne grattavo uno la buccia si spaccava, rivelandone il contenuto: cenere. Dopo che questa m’investiva, nella mia pelle apparivano frutti simili, che sembravano come incastonati. La cosa mi spaventava, inoltre avvertivo prurito e mi veniva di grattarli per toglierli, e questi riversavano altra cenere. L’angoscia cresceva e, prima di sentirmi soffocare, dalla nebbia emergeva un carro funebre. Sentivo l’impulso di controllare il contenuto della bara. Sollevavo il coperchio e mi rivedevo. Il mio “altro me” apriva gli occhi e mi sorrideva. Inevitabilmente mi svegliavo.
La situazione di partenza offre alcuni indizi importanti. «Vagare nella nebbia» può infatti riferirsi a una fase di dubbio in cui non si offre chiaramente la percezione di ciò che si sta cercando, la soddisfazione di un desiderio o la soluzione di un problema. Il freddo è la condizione climatica legata ai Reni, l’Organo sede della volontà e della paura, nonché delle essenze vitali primarie (ereditarietà, sessualità, influssi materni, paterni e della storia familiare), e ci avverte che siamo in prossimità di qualcosa che ha a che fare con la vita e la morte dell’Io, dove per vita e morte è bene intendere l’inizio e la fine di fasi psicologiche dell’esistenza e non quelle fisiche. D’altra parte, l’erba bagnata e verde richiama qualcosa di estremamente vitale e fertile, tanto da essere quasi insostenibile. Una grande massa di energia vitale sotto i piedi, ovvero alla base della vita di Mirko. L’umidità è d’altra parte la condizione necessaria per la generazione di qualsiasi forma vivente.
Compare allora l’albero, che collega la matrice corporea dell’esistenza (la terra) alla psiche (il cielo), realizzando quell’unità che è il vivente, e infatti uomo e albero sono fortemente connessi nelle simbologie tradizionali. Qui abbiamo dunque l’uomo davanti al suo stesso principio vitale e alla necessità di connettere un livello cosciente e uno infero, inconscio, per uscire dalla nebbia. I frutti presenti sull’albero sono infatti agrumi, portatori di energia legata all’archetipo solare, quello dell’Io e della luce e del calore necessari all’umbratile umidità per farsi davvero vita in atto. E l’identità uomo-albero è subito data: grazie a un atto di fecondazione (grattare un prurito come atto erotico, cenere come essenza seminale) i frutti compaiono anche sulla pelle del soggetto.
Ora, la pelle è il luogo primario del contatto tra il sé e l’altro da sé, lo scambio energetico con l’esterno, dove l’altro da sé è immanente all’anima e non veramente esterno, poiché, come ogni tradizione dice, sé e l’altro sono due facce della stessa medaglia.
Ecco dunque la fecondazione solare dell’elemento umido lunare nella comparsa dei frutti, e l’arancio, ricordiamo, è anche quell’albero i cui fiori la tradizione lega ai matrimoni, che sono rituali di unificazione maschile-femminile, ovvero Io-inconscio. Naturalmente, l’Io cosciente è spaventato da questo richiamo del profondo, specie nella misura in cui contamina e modifica la sua stessa percezione di sé, e la sua reazione è quella di cercare di sbarazzarsi del conflitto, ma questo non fa altro che liberare altra cenere, ovvero moltiplicare le possibilità di contagio. Questo è un classico inganno della mente indicato dalle tradizioni spirituali: ogni volta che ci si oppone a un demone, questo accresce la sua energia, perciò la via di liberazione da un conflitto non può passare mai attraverso l’opposizione, e avviene sempre a partire da una resa, da un’accettazione. Qui siamo comunque in piena atmosfera conflittuale e verso il finale l’angoscia aumenta: si avvicina infatti il culmine del confronto con l’energia latente nell’inconscio.
Ecco allora il carro funebre emergere, e la visione da parte dell’Io di un sé morto che apre gli occhi, ovvero si affaccia alla vita, e stabilisce un contatto sorridendo. Un messaggio forte e ineludibile: questo passaggio esistenziale richiede a Mirko un sacrificio. Lasciar andare una parte di sé, un modo di percepirsi, morire a se stesso come un monaco zen per poter fare pienamente esperienza dell’energia racchiusa nei frutti della pelle. E accettare lo sguardo del sé infero, quello la cui vita si svolge nella Terra delle Ombre.
Come sogno d’Organo (per la spiegazione di questa espressione vedere Stanze dell’anima), questo materiale ci parla dei Reni, della Pelle e del Cuore, inteso come centro energetico dell’identità.
(Stefano Riccesi)