L’essenza narrativa del sogno
L’ignoto e il mistero parlano attraverso il linguaggio dei simboli che sono, secondo la definizione di Jung, rappresentazioni visibili di aspetti invisibili dell’anima, nel senso di inaccessibili in modo diretto alla coscienza. Un simbolo non è un segno, proprio perché al segno corrisponde un significato noto, come per esempio un cartello stradale, di cui conosciamo il messaggio, che è chiaro e univoco. Simbolo e mistero sono dunque intimamente connessi, al punto che finché esiste l’uno esiste l’altro e viceversa. Uno, forse il principale, dei modi in cui l’anima si esprime simbolicamente è attraverso l’attività onirica. Quando l’Io cosciente si arrende al sonno l’anima si risveglia in un altro mondo fatto di ombre, di immagini, di visioni. E lo vive attraverso racconti.
Se osserviamo qualsiasi sogno, infatti, vedremo che si tratta sempre di una storia, o almeno di una scena, e questi termini – storia e scena – ci portano immediatamente in una dimensione narrativa. Per chi ama leggere e scrivere storie, divenire coscienti che l’anima rivela se stessa attraverso narrazioni può significare molto. È come dire che il racconto è una modalità strutturale dell’esistenza e non «solo» uno strumento di espressione. L’anima si nutre di storie, parla attraverso storie e ne genera in continuazione. Ecco perché da sempre le culture si sono espresse e formate attraverso mitologie, che altro non sono che tessuti narrativi. L’individuo e il suo corpo sociale hanno bisogno di raccontarsi attraverso storie simboliche per conoscersi e condividere l’esistenza.
I sogni, però, sono storie speciali, perché in essi l’anima si manifesta spontaneamente, senza il filtro dell’intenzionalità e della coscienza, e raggiungono quindi un grado di completa autenticità psicologica. Per questo movimenti artistici come il surrealismo hanno tentato di far saltare il controllo cosciente nella scrittura, provando a permettere quell’atto magico che è l’autorivelazione dell’anima, ad esempio attraverso la scrittura automatica.
L’arte, in realtà, ha cercato spesso di approssimarsi al sogno. Quello che a volte non consideriamo è che sono le idee stesse a essere messaggi dell’anima. Le idee non sono creazioni, ma atti spontanei. Non ci appartengono come creature, bensì ci arrivano come doni. Da dove? Certamente dal grande mare dell’inconscio individuale e collettivo. Ma emergono, ci attraggono, ci fanno innamorare rendendoci necessario raccontarle, attraverso lo sviluppo di storie che le possano manifestare. Come a dire che il sogno è così essenziale che l’anima cerca ancora di sognare se stessa nella vita diurna attraverso le mitologie. Gli scrittori potrebbero allora essere i sognatori del giorno di Poe, coloro che continuano nella vita di veglia lo stesso lavoro che compie il sogno nel mondo notturno, quello del fare anima, secondo la nota espressione del filosofo e psicanalista junghiano James Hillman.
Quando una storia nasce dall’innamoramento per un’idea, per un’immagine, e viene lasciata libera di svilupparsi spontaneamente restando fedeli all’idea di partenza e alla sua atmosfera, quella che otteniamo è una narrazione forte, in grado di far risuonare corde profonde in noi. Se questo succede, il racconto va oltre la dimensione dell’intrattenimento, per entrare in quella dell’indagine del profondo, dell’espressione di forze archetipiche, di immagini ancestrali, di emozioni viscerali. E scrivere e leggere assumono una valenza catartica, maieutica, terapeutica, che toccandoci ci trasforma, accompagnandoci un passo oltre in quell’infinito viaggio che è la rivelazione del Sé.
(Stefano Riccesi)