Amon Amarth – Non siamo Viking Metal

Durante un’intervista domandarono a Johan Hegg, cantante degli Amon Amarth, se la sua band poteva essere definita Viking Metal. Lui rispose: “Musicalmente non c’entriamo nulla ed è strano etichettare una band solo per il contenuto dei suoi testi perché, se le cose stanno così, allora gli Iron Maiden dovrebbero essere Viking Metal e anche i Black Sabbath e i Led Zeppelin”.
Sul piano logico è difficile dargli torto, ma se pensate che queste parole le ha pronunciate uno svedese grande e grosso, con una lunga barba bionda e un corno pieno di birra appeso in vita, un energumeno che non sfigurerebbe sulla poppa di una nave con i capelli al vento, allora capirete perché si fatichi a dargli credito. È vero, il Viking Metal è definito dal fatto che nei testi si parli di vichinghi e dalla presenza di una forte componente folk, mentre gli Amon Amarth fanno Melodic Death Metal e nelle loro canzoni non sentirete mai suonare cornamuse o ghironde, però, mettiamo da parte i tecnicismi, guardate per bene la copertina di Twilight of the Thundergod (settimo album della band), ascoltate la prima traccia del disco e ditemi se non vi viene voglia di correre su un campo di battaglia brandendo la vostra ascia sperando di finire nel Valhalla.
Il primo brano s’intitola proprio come il disco e riprende la copertina dell’album raccontandoci di quella volta che Thor, brandendo il suo famigerato martello, uccise Jörmungandr, un serpente marino gigante che, non avendo nulla di meglio da fare, passava il suo tempo affondando tutte le navi di passaggio. Che dire della canzone? Un vero e proprio inno metal. Sarà per la strofa cavalcata in cui la dolce voce di Johan ci scuote le budella? (Nota d’onore per quest’uomo che possiede l’abilità di modulare il suo growl monocorde in maniera impensabile e di generare massicce dosi di epicità nei suoi testi facendo sapiente uso di una manciata di parole) O per il ritornello solenne, feroce e al contempo melodico? O per il bridge in crescendo che esplode in un assolo semplice e incisivo?
Non lo sapremo mai, perché ad interrompere le nostre elucubrazioni interviene Free will sacrifice. Tonalità bassissime di growl che caricano di intensità un ritornello accompagnato da magnetici fraseggi di chitarra, armonie in grado di dar vita ad atmosfere suggestive, epiche e brutali. Un esempio perfetto di come la violenza caotica del Black metal può essere ammansita da incredibili ed evocative melodie. I puristi storceranno il naso, io canto. “I nemici sono dieci volte più di noi/ non poteva andar meglio/Li sacrificheremo uno ad uno/ li manderemo tutti al loro dio”.
Il terzo brano è uno dei cavalli di battaglia della band: Guardian of Asgaard. Una possente strofa cadenzata che fa salire la tensione fino al ritornello imperioso, un chorus creato ad hoc per far alzare il pugno in aria preparandosi ad affrontare gli Jotunn, acerrimi nemici degli Aesir. Giganti mitologici che insidiano le mura di Asgard ma che da sempre vengono respinti. Perché noi siamo i guardiani / I guardiani di Asgard!

MEXICO CITY, MEXICO – 23 luglio: Johan Hegg cantante degli Amon Amarth si esibisce durante uno show al Corona Hell & Heaven Metal Fest

Il ritmo si fa ancora più veloce in Where is your god. La canzone è quasi una filastrocca, il dileggio di un vichingo che, dopo una schiacciante vittoria, chiede agli avversari cristiani: E ora dov’è il vostro dio?
Ormai avrete capito il tenore del disco, che destreggiandosi tra mitologie e battaglie ci porta a scoprire il mondo cupo e selvaggio dei vichinghi. Varyags Of Miklagaard racconta infatti dei Variaghi, una popolazione scandinava stabilitasi in Russia che divenne famosa per i suoi formidabili mercenari. Un corpo di seimila guerrieri venne donato da Vladimir I di Russia all’imperatore bizantino Basilio II. La guardia Variaga servì per trecento anni in terra straniera, più precisamente a Costantinopoli (Miklagaard in antico norreno) guadagnandosi una fama leggendaria che ci viene raccontata in questo brano dai ritmi compassati e con armoniche di chitarra di Maideniana memoria.

Come non menzionare Tattered banners and bloody flags? Il solido suono degli Amon Amarth torna a narrare di battaglie epiche tra gli dei. Questa volta Loki che guida una legione di morti alle soglie del reame degli Aesir.
No fear for the setting sun è una feroce litania di lamento dove l’alchimia tra voce gutturale e melodie di chitarra riesce a rendere perfettamente il dolore di un guerriero ferito che viene lasciato indietro dai compagni. L’uomo realizza che morirà, ma i suoi pensieri non sono di rimorso. È caduto combattendo per la sua causa e quindi non ha nessuna paura, nonostante il suo sole sia ormai giunto al tramonto. Questo brano fa coppia con The Hero, che mostra l’altra faccia della medaglia. Si parla nuovamente di un mercenario che muore sul campo di battaglia, ma questa volta la gente è tutta intorno a lui. Piange la sua dipartita, lo considera un eroe per averli salvati dai nemici, ma il guerriero morente ha solo pensieri amari. Riflette sulla sua vita densa di sangue e morte. Non gli importa del fatto che verrà ricordato come un eroe. Lui sa come sono andate davvero le cose. Non mostratemi compassione/ non versate lacrime per me/so chi sono/ sono un uomo malvagio.
Alla penultima canzone, gli Amon hanno ancora un asso nella manica: una collaborazione con gli Apocalyptica. Band finlandese Symphonic Metal, formata da tre violoncellisti che in Live for the Kill impreziosisce la composizione aggiungendo una struggente melodia al già valido brano incentrato sulle gesta di un cacciatore inarrestabile sempre in cerca della prossima preda. Ma è proprio in chiusura che questo album dà il meglio di sé. In Embrace of the Endless Ocean il connubio tra melodia e ferocia, malinconia e brutalità raggiunge l’apice. Una strofa dai ritmi lenti racconta la storia di uno schiavo liberato che dopo anni di attesa può finalmente far ritorno a casa. All’improvviso una tempesta si abbatte sulla nave che lo sta trasportando, affondandola. Le parti melodiche rendono perfettamente l’atmosfera fredda e cupa di un oceano in tempesta e della tragedia che si consuma tra le onde. Lo schiavo, disperato, realizza che morirà annegato senza poter mai rivedere la sua patria. Le onde gelide abbracciano la mia pelle/ L’oceano infinito mi ingoia/ I miei sogni di speranza giacciono straziati / Padre, morirò da solo / Morirò da solo.

(Daniele Tredici)11