La tarantola dal ventre nero, di Paolo Cavara
Nel 1971, dopo l’enorme successo ottenuto dai primi film di Dario Argento, il genere del thrilling richiama a sé produttori, sceneggiatori e registi. Paolo Cavara si cimenta in questo scenario cinematografico con La tarantola dal ventre nero, una pellicola che deve molto al regista romano che ha portato al successo il giallo all’italiana.
Ne La tarantola dal ventre nero il commissario Tellini, interpretato da un giovane Giancarlo Giannini, indaga sulla morte di Maria Zani, uccisa dopo essere stata paralizzata con un lungo spillo. Le modalità di uccisione si ispirano infatti alla lotta tra l’ape e la tarantola, che prevede la paralisi e successivamente la morte. Altre donne vengono assassinate con lo stesso modus operandi e le indagini del commissario si fanno sempre più serrate, per scoprire e soprattutto fermare l’assassino.
Nell’incipit del film è preponderante la componente erotica, aspetto comune nei film del giallo all’italiana. Barbara Bouchet ha un ruolo estremamente marginale, interpreta infatti la prima vittima, Maria Zani, e lo fa proprio in un contesto prevalentemente erotico. Questo aspetto ritornerà in tutta la pellicola, seppur in maniera piuttosto velata rispetto ad altri titoli di questo filone cinematografico in cui l’erotismo è maggiormente evidente. Il protagonista poliziotto è anomalo, tuttavia le indagini della polizia sono comunque filtrate attraverso scene grottesche e ironiche, in cui la polizia non fa affatto una bella figura. Nel giallo all’italiana questo è un classico, la polizia è sempre in secondo piano e caratterizzata come inadeguata ai pericoli rappresentati dai killer. D’altra parte, anche la figura dell’investigatore privato viene ridicolizzata in questa pellicola. Insomma, in questo film non si salva nessuno dal ridicolo, nemmeno Tellini, il quale commette lui stesso parecchi errori nel corso delle indagini.
Il titolo zoofilo segue l’onda del successo di Argento, ma la motivazione data al titolo, attraverso il modus operandi dell’assassino, appare piuttosto forzata e sterile e viene fatta percepire in maniera brusca allo spettatore. Tutto ciò indebolisce una sceneggiatura che di per sé mostra anche altri punti deboli.
L’assassino si rivela un deviato, un traumatizzato, come nella miglior tradizione del thrilling italiano, in particolare quello argentiano. Il modo in cui viene rivelata la sua identità, legato al senso della vista, è ancora un classico del genere. La regia segue diversi stili e ha un occhio di riguardo per le scene degli omicidi, grazie a inquadrature ricercate e originali. Nonostante ciò la violenza è ridotta rispetto ad altre pellicole di quel periodo e in generale viene mostrato poco di ciò che avviene durante gli omicidi. Le musiche di Ennio Morricone impreziosiscono la storia, accompagnando costantemente lo spettatore durante tutta la visione della pellicola.
La tarantola dal ventre nero è dunque un film che non lascia un segno indelebile nella mente, proprio per la sua concordanza – e quindi somiglianza – con gli stilemi tipici del genere a cui appartiene. Si lascia ricordare, invece, per l’interpretazione di Giancarlo Giannini, il quale dà vita a un commissario finalmente umano, mostrato sia nel suo ambiente lavorativo che in quello domestico, e per questo motivo è un personaggio plausibile, meno spersonalizzato dal suo mestiere rispetto a suoi “colleghi” visti in altri film.
(Gianluca Santini)