San Valentino insanguinato: morti ammazzati nel giorno dedicato all’amore

A Chicago San Valentino viene ricordato per essere il giorno degli innamorati e quello di una delle stragi di mafia più famose della storia americana. Accadde tutto nel 1929, in pieno proibizionismo, quando i poliziotti si facevano corrompere facilmente per chiudere entrambi gli occhi di fronte alla produzione e alla vendita illegale di alcolici.
Il monopolio del contrabbando d’alcol, dello sfruttamento della prostituzione e delle bische clandestine era conteso tra gli irlandesi, capeggiati da Dion O’Banion, e gli italiani, fedeli ad Al Capone. Quando O’Banion fu assassinato con due colpi di pistola calibro 38 da tre killer che erano entrati nel negozio di fiori che gestiva come copertura delle sue losche attività, il suo braccio destro Bugs Moran non capì che doveva smantellare l’organizzazione di cui era appena diventato il nuovo capo e sparire per sempre. Firmò così la sua condanna a morte e quella dei suoi uomini.
Perché gli italiani scelsero proprio il giorno degli innamorati per regolare i conti con gli irlandesi? Per un motivo molto pratico: giovedì 14 febbraio del 1929 Al Capone si trovava a Miami, convocato da un giudice federale per un interrogatorio, perciò per quella data aveva un alibi “certificato” dalla legge stessa. Al Capone affidò il comando della missione a Sam Giancana, suo autista e uomo di fiducia. In tutto cinque spietati killer alle dieci del mattino si presentarono vestiti da poliziotti nel garage di North Clark Street, dove gli uomini di Moran attendevano un carico di alcol. All’inizio gli irlandesi pensarono di dover versare la solita mazzetta, perciò non si allarmarono. Erano in sette e si lasciarono allineare contro una parete del garage, aspettando di scoprire quanto avrebbero dovuto pagare per assicurarsi il silenzio dei poliziotti. Furono giustiziati con almeno 200 proiettili di mitragliatrice: non furono solo uccisi, ma massacrati, quasi annientati. Gli italiani avevano voluto mandare un avvertimento a chiunque avesse tentato di mettersi contro di loro.
Moran scampò alla strage perché al suo posto fu ucciso qualcuno che gli assomigliava. Riuscì a fuggire e sparì per sempre, lasciando a Big Shot, più noto come Scarface, al secolo Alphonse (Al) Capone, detto anche Il Napoletano, la corona di re incontrastato di Chicago.
L’evento è raccontato in molti film sui gangster degli anni del proibizionismo e perfino in A qualcuno piace caldo, divertentissima pellicola del 1959, diretta da Billy Wilder, in cui Tony Curtis e Jack Lemmon involontari e scomodi testimoni della strage, per sfuggire agli uomini di Al Capone si nascondono, travestiti da donna, in un’orchestra femminile in cui lavora una giovanissima e conturbante Marylin Monroe.
Se per un gangster il criterio per scegliere il giorno di una strage è quello di crearsi un alibi perfetto, quale può essere quello di un – almeno sulla carta – tranquillo e brillante studente, regolarmente fidanzato? Forse la mancata assunzione per alcuni giorni del pesante mix di psicofarmaci che gli aveva prescritto lo psichiatra.
Steven Kazmierczak agli inizi del 2008 aveva 27 anni e si era
laureato in sociologia nel 2006. Stava frequentando con successo un dottorato presso l’università di Urbana, Illinois. Aveva problemi di stress e di concentrazione, perciò dietro consiglio dello psichiatra stava assumendo psicofarmaci. Poiché non gli sembrava di trarne giovamento, smise di prenderli. Qualche giorno dopo, alle tre del pomeriggio del 14 febbraio, tornò presso la sua ex università, la Northern Illinois, a circa 100 km da Chicago. Aveva con sé due pistole e un fucile. Si introdusse in un’aula della Cole Hallm, dove stava per terminare una lezione di geologia, e uccise cinque persone e ne ferì sedici, infine si tolse la vita prima che lo fermassero i poliziotti, appena giunti sul posto.
Un sopravvissuto ha raccontato in seguito che il giovane «Non ha detto una parola. È salito sul podio dove si trovava l’insegnante e ha aperto il fuoco verso gli studenti. Ha sparato in rapida successione, con calma mentre nell’aula esplodevano il caos e il terrore».
(Biancamaria Massaro)