Il gaslighting: una forma di violenza psicologica poco conosciuta
Nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne, quest’anno sarebbe facile parlare delle accuse di stupro e molestie che, partendo dal caso del produttore cinematografico Harvey Weinstein, stanno mettendo in imbarazzo molti
uomini che utilizzano il proprio potere economico e politico per ottenere favori sessuali e che cercano di minimizzare i crimini commessi.
Si potrebbero anche citare i nomi di quante “donne sono state uccise in quanto donne”, frase che non è altro che la definizione di “femminicidio”, oppure i numeri delle denunce di stalking o di violenza sessuale dell’ultimo anno.
O, infine, riportare le parole di condanna di alcuni “perbenisti” nei confronti delle ragazze che bevono e poi si lamentano se vengono abusate… come se la colpa fosse attribuibile alla vittima e non al carnefice.
Si finirebbe però con l’essere una voce tra tante, di sicuro più autorevoli. Quest’anno preferiamo allora concentrare l’attenzione su un fenomeno di violenza psicologica poco noto ma molto dannoso: il gaslighting.
Per gaslighting si intendono tutti quei comportamenti utilizzati da una persona abusante – il gaslighter – affinché la sua vittima arrivi a dubitare della propria sanità mentale o più in generale della proprio capacità di giudizio. Il manipolatore mette perciò in discussione le percezioni e le convinzioni della propria compagna allo scopo di confonderla e renderla dipendente, attraverso un autentico processo di brainwashing (lavaggio del cervello).
Il termine si ispira al film del 1944 “Gaslight” – letteralmente “luce a gas”, ma conosciuto in Italia con il nome “Angoscia” – del regista americano George Cukor con Ingrid Bergman e Charles Boyer. La trama mette in scena una sottile manipolazione psicologica: per far
impazzire e/o far credere pazza la moglie, un uomo fa sparire degli oggetti insinuando il dubbio che sia stata la donna a farlo, inoltre affievolisce le luci delle lampade a gas, negando che la casa sia meno illuminata. Poco a poco riesce a minare le certezze della moglie, ma alla fine viene smascherato.
Il film ha dunque un lieto fine… la realtà invece è molto diversa: poiché lascia ferite psicologiche e non fisiche, non è facile da riconoscere e da dimostrare, perciò è quasi impossibile ottenere una condanna in tribunale dell’abusante.
Si realizza con quotidiane e ripetitive umiliazioni e/o denigrazioni che squalificano la vittima, derisa in pubblico e in privato, o mostrando prove distorte, ma difficili da smentire, per sostenere una certa posizione e disconfermare le certezze dell’altro, magari nascondendo oggetti come nel film o organizzando/annullando eventi per poi dire che è stato il partner a farlo.
Il gaslighting risulta più efficace quando più induce sentimenti di colpa e vergogna nella vittima.
Esistono tre tipologie di gaslighter:
a) l’affascinante, che disorienta la compagna alternando silenzi ostili e umiliazioni a romanticismo e complimenti;
b) Il “bravo ragazzo”, ovvero l’egoista camuffato da persona che pensa solo agli altri, in particolare alla compagna.
c) l’intimidatore che non nasconde la propria crudeltà, aggredendo verbalmente la vittima in modo brutale.
Lo scopo comune alle tre categorie di manipolatori è affievolire le sicurezze della compagna fino a diventare “complice” del suo aguzzino, che alla fine sarà visto come “salvatore” e l’unico in grado di proteggerla prima di tutto da se stessa. Sentirsi ripetere di continuo frasi come “Sei troppo grassa/magra/brutta”, “Non vali niente!”, “Non ne fai mai una giusta!”, “Ma come fai a non ricordartelo? Lo hai detto/fatto proprio tu!”, “Scusate, mia moglie non capisce nulla/non è capace…” alla lunga può portare alla depressione.
L’intimidatore è quello che con più probabilità ricorrerà alla violenza anche fisica, perciò sarà più facile dimostrare gli abusi, anche se troppo tardi. L’affascinante e il bravo ragazzo sono quelli che restano più impuniti, anche perché nella fase inziale del rapporto convincono il partner che si tratta di “vero e irripetibile amore”, perciò la vittima, quando verrà svalutata e colpevolizzata, non fuggirà da una relazione malata, ma proverà a ogni costo di farla tornare alla – apparente – perfezione iniziale, fino ad annullarsi del tutto.
La persona che subisce il gaslighting passa attraverso le seguenti fasi:
1. Incredulità/Distorsione della comunicazione. Come abbiamo visto, all’inizio il gaslighter si presenta come “l’innamorato perfetto”, poi all’improvviso cambia: inizia a criticare la partner e mette in atto “giochetti” psicologici per minarne la sicurezza, il tutto alternando silenzi inspiegabili a gesti di romanticismo, creando così confusione nella vittima.
2. Difesa. La vittima inizia a difendersi con rabbia e a sostenere le sue posizioni, convinta di poter convincere l’altro delle proprie ragioni. Ma è il gaslighter che ha il controllo degli eventi e dei temi discussi, perciò ogni tentativo di un confronto “sano” si rivolta contro la vittima, sempre più confusa e incapace di fidarsi del proprio istinto e della memoria; tende perciò a isolarsi per il senso di vergogna e di fare “qualcosa di sbagliato” in pubblico ed è sempre più dipendente.
3. Depressione. La violenza è ormai cronicizzata e la vittima, ormai isolata dal mondo, “vive” solo nella e per la relazione, convinta della ragione e della bontà del manipolatore.
Per concludere e per correttezza… invertiamo i ruoli.
Le donne, infatti, di rado ricorrono alla violenza fisica, ma sono maestre in quella verbale.
Non è infrequente perciò che il gaslighting sia messo in atto contro un uomo dalla propria
partner che lo umilia in diversi modi: “Non riesci a soddisfarmi!”, “Ce l’hai piccolo!” “Hai già finito?” sono le fasi più ricorrenti a letto e nella vita quotidiana “Guadagni poco!” o “Non sai nemmeno cambiare una lampadina”, mentre, confidando nel fatto che l’uomo medio non ascolta e dimentica, è facile fargli credere di aver detto o fatto cose errate.
Insomma, il gaslighting è una forma di manipolazione mentale poco nota, ma in grado di fare vittime – e avere carnefici – in entrambe le metà del cielo.
Ad esclusione dell’immagine tratta dal film, le altre foto sono state scattate dal nostro “inviato nero” Alberto Cattaneo presso il Liceo Adelaide Cairoli di Pavia, e ritraggono una efficace installazione d’arte contro la violenza sulle donne. Ne abbiamo realizzato anche un video, che potete vedere di seguito.