8 Marzo: non solo mimose
Le origini reali della festa dell’8 marzo sono poco importanti. Di certo non si commemora l’episodio in cui 129 operaie morirono in un incendio doloso – mai avvenuto! – appiccato nella fabbrica tessile Cottons di New York: vi erano state rinchiuse per impedire la loro partecipazione alle agitazioni sindacali organizzate nella seconda settimana di marzo del 1908. A New York un incendio c’è stato davvero, ma solo il 29 marzo del 1911, all’interno della Triangle Shirt Waist Company, e vi perirono 134 lavoratori, sia maschi che femmine, molti di provenienza italiana. Di sicuro l’8 marzo del 1917 (attenzione, però: corrisponde al 23 febbraio del calendario giuliano in vigore in Russia) le donne di San Pietroburgo marciarono per chiedere la fine della guerra, la prima delle grandi manifestazioni che si conclusero con la fine dello zarismo. L’argomento è stato già affrontato in modo esauriente lo scorso anno in questo articolo. Per altre ipotesi e informazioni varie, basta consultare Wikipedia, dove è precisato perfino che in Italia, dopo la Seconda Guerra Mondiale, si è scelto come simbolo la mimosa perché fioriva proprio a marzo ed era reperibile gratuitamente in qualsiasi giardino pubblico: ha ancora senso, oggi, che i fiorai e gli extracomunitari ai semafori facciano pagare i rami di mimosa così tanto?
Alla fine quello che dovrebbe interessarci davvero è che tutte le nazioni in cui la parità dei sessi – almeno sulla carta – è riconosciuta, hanno stabilito una data comune per:
1) ribadire le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne;
2) ricordare le discriminazioni e le violenze di cui esse sono ancora fatte oggetto.
È sotto gli occhi di tutti quanto lavoro ci sia ancora da fare, se oggi si parla perfino di introdurre il reato di femminicidio per indicare l’assassinio di una donna da parte di un uomo che l’ha scelta come vittima proprio perché appartenente al genere femminile.
Nel 2012 inItalia sono morte 124 donne per mano di un partner o di un ex; altre 47 si sono salvate, ma portano i segni, fisici e psicologici, delle violenze subite. L’autore troppo spesso è definito dai media uno che “amava troppo” o che era “intrappolato in una storia da cui non sapeva uscire”. Quasi mai un assassino con la stessa maturità di un bambino che rompe e butta via un giocattolo che non gli piace; o che gli piace troppo, perciò non vuole che altri ci giochino, anche se ormai non è più adatto a lui. In ogni caso un narcisista brutale che considera la donna come un oggetto di cui può disporre completamente.
Qualcosa, per fortuna, sta cambiando: se fino a qualche anno fa le violenze erano subite in silenzio e spesso giustificate, oggi le donne denunciano i loro aguzzini. Ma qui c’è anche la nota dolente: il 40% delle donne massacrate nel 2012 aveva sporto denuncia – anche più di una – contro il suo aguzzino: quasi la metà di loro poteva quindi essere salvata. La recente legge contro lo stalking prevede infatti nuovi interventi giuridici e di controllo e assistenza sociale a favore delle donne molestate, però ci sono poche risorse umane ed economiche per applicarle. Capita così che il processo contro le prime molestie sia celebrato quando chi le ha perpetrate ha già ucciso la sua vittima e che non ci siano fondi per gestire i centri anti violenza, costretti a chiudere.
In questo periodo (4-14 marzo), al Palazzo di Vetro dell’ONU, è in corso la 57° Sessione della Commissione della Donna che in questa edizione discuterà proprio il tema della violenza di genere. L’Italia è rappresentata da una delegazione capeggiata dal ministro Fornero e, come al solito, si presenta come la pecora nera dei paesi sviluppati: per favorire la parità tra i sessi si era impegnata nel 2000 a spendere lo 0,7% del PIL, mentre siamo a un misero 0,1%. Il piano legislativo, seppur all’avanguardia, raramente viene applicato.
Più denaro e rispetto delle leggi esistenti potranno ben poco, se non ci sarà quell’evoluzione culturale di cui ho già parlato nell’articolo di fine anno: l’uomo deve comprendere che amare non è sinonimo di possedere e la donna che non lo è di subire. Anche per ribadire questo, il 14 febbraio, festa dedicata all’amore, milioni di donne sono scese nelle piazze per gridare al mondo che la violenza contro le donne non è più tollerabile, a qualunque latitudine, in qualunque contesto sociale, economico e politico.
È accaduto anche da noi: ce ne siamo accorti?
(Biancamaria Massaro)