Mondo 9, pneumosnodo dell’immaginario – l’autoamputazione del corpo

«In un’epoca in cui il futuro ci viene declinato per immagini – pensiamo a cinema, tv, pubblicità, videogame – interessa davvero poco che contestualmente gli scrittori di fantascienza ce lo raccontino a parole. Il progresso, poi, è troppo veloce perché possa diventare oggetto di speculazione credibile.»

(Dario Tonani in “Tre domande di Paul di Filippo a Dario Tonani”) in Delos Science Fiction N°149. 

E Mondo 9 è il racconto a parole del progresso, della rapida mutazione. Un racconto per immagini, di metallo e vapore, di sangue e oscurità. Distopia ai confini della realtà, al limite dell’umano, ci si trova immersi in una dimensione in cui le arterie mutano in tubature e la speranza vaporizzata in rassegnata consapevolezza. Vi è un continuo rimando al corpo nelle pagine del Mondo di Dario Tonani. In Cardanica leggiamo:

«Tuono ha quattro braccia e almeno altrettante gambe. Gliele hanno forzate tra i tubi e, una volta passate nella grata tra un condotto all’altro, le hanno messe di traverso perchè non rischiassero di cadere. Hanno scelto gli arti perchè erano le uniche parti che si potessero infilare tra i tubi. Tuono non ha tronco e non ha testa. Ma non gli hanno fatto solo questo: da ogni moncherino fuoriescono dei tubicini flessibili che, dopo una curva ad angolo, vanno a innescarsi in un tubo più grande. E ognuno di questi a sua volta confluisce verso un collettore di raccolta che sparisce nel buio più in alto. Hanno creato un sistema idraulico che funziona con il sangue umano. Cardanic si muove e parla grazie al sangue di Tuono. E Tuono sono due, forse tre uomini. Quello caduto sulla schiena di Victor è l’avambraccio di un uomo tatuato che si chiamava Spice. O che amava una certa Spice».

Certo, il corpo, inteso come l’elemento tangibile, distintivo dell’identità, l’unico appiglio rimasto all’individuo di Mondo9, che sia fatto di metallo o sangue, poco importa. Corpo come come percezione fisica, ahimè dolorosa, del futuro distopico, corpo come simbolo della trasformazione. E di trasformazione trasudano gli alveoli dei condotti del mondo rugginoso di Dario dove il metallo fagocita la carne, il sangue si scambia con l’olio quasi a esorcizzare, in un certo senso, un mutamento sociale, troppo veloce perché possa diventare oggetto di speculazione credibile.

Non credo sia ardito, a mio avviso, affermare che le tubature rugginose di Mondo9 siano permeate, oltre che dal vapore, dall’ansia del metallo, anche dal concetto di autoamputazione, nella definizione di Antonio Caronia, riportata in Virtuale, in uno stralcio del testo di Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare:

«Non ci sono elementi per affermare che Dick avesse letto McLuhan. Ballard lo conosceva già, sicuramente, negli anni in cui andava scrivendo The Atrocity Exhibition (1966-1969), ma non lo cita spesso. Eppure questa immagine così forte dell’interno del corpo che si mescola e si scambia con l’esterno dimostra chiaramente una consonanza con la concezione che lo studioso canadese ha dei media (e delle tecnologie, che tende a identificare con essi) come estensioni dei sensi:
Ogni invenzione o tecnologia è un’estensione o un’autoamputazione del nostro corpo, che impone nuovi rapporti o nuovi equilibri tra gli altri organi e le altre estensioni del corpo. (…) In quanto estensione e accelerazione della vita sensoriale, ogni medium influenza contemporaneamente l’intero campo dei sensi (…)»

Estensione, autoamputazione e, aggiungerei, trasformazione dell’uomo nel suo simulacro. Questo mutamento di prospettiva nel rappresentare l’eterna contrapposizione uomo/macchina si elide nel momento in cui si verifica la consonanza, ovvero quest’ultima diviene un’estensione dei sensi del primo. In questo continuo meccanismo di sostituzione, i confini e i ruoli dei due elementi sono sempre meno definiti. Così l’antica contrapposizione diviene in Mondo9 — Macchine contro macchine. Da sempre — a sottolineare che il processo è completato. È interessante notare come tutto il discorso dell’estensione e accelerazione riguardi non una sfera di ordine concettuale ma riguardi la vita sensoriale, l’intero campo dei sensi.

Il concetto viene esplicitato maggiormente da Caronia in un altro tratto del saggio Virtuale dove lo studioso, parlando dei media landscape, cita Ballard:

«Icone neuroniche sulle autostrade spinali. Qui, come ovunque in La mostra delle atrocità, il sistema nervoso dei personaggi è stato esteriorizzato, come caso particolare di un più generale rovesciamento fra mondi interni ed esterni. Autostrade, uffici, volti, segnali stradali, sono percepiti come se fossero elementi difettosi di un sistema nervoso centrale».

«Varie riflessioni sul media landscape si ritrovano dunque negli stessi anni, nella narrativa popolare (o almeno in certe sue zone eccentriche), a cogliere un punto di crisi, uno snodo dell’immaginario, nella figura dell’interno del corpo (e in particolare del sistema nervoso) che si scambia e si confonde con l’esterno, con la realtà percepita dai nostri sensi. È fin troppo evidente che Dick e Ballard vogliono costruire una metafora, forse un po’ insistita, quasi “letteralizzata” (ma non è questo uno dei procedimenti tipici della fantascienza?)».

Insomma, più leggo questi passi di Virtuale, più leggo Mondo9 e più mi convinco che Dario  abbia voluto realizzare, come i suoi colleghi fantaletterari, una metafora – che mi è piaciuto definire coniando il termine fantasioso Cardanico-Virtuale – ovvero uno pneumosnodo dell’immaginario. Tra le rovine di Mondo9, tra la ruggine, i tubi e il vapore vi è questa immagine così forte dell’interno del corpo che si mescola e si scambia con l’esterno, un tratto tipico, efficace per rappresentare il cambiamento, un cambiamento doloroso che ci pone di fronte a una profonda riflessione di fronte all’attuale rappresentazione mistificante della realtà. Ma Mondo 9 non é solo questo e, oltre a essere, come ha scritto Paul Di Filippo, una bellissima descrizione dell’uomo alla mercé delle sue creazioni sadiche e vendicative, vi è quasi una metafisica del metallo. Non voglio dilungarmi ulteriormente, tuttavia vorrei porre l’accento su un altro aspetto del testo:

«Tuono non ha tronco e non ha testa.(…) E Tuono sono due, forse tre uomini. Quello caduto sulla schiena di Victor è l’avambraccio di un uomo tatuato che si chiamava Spice. O che amava una certa Spice».

Oltre alle dinamiche di trasformazione, vi è il tema della frammentazione dell’identità, (Tuono non ha testa, non è uno ma forse tre uomini), il tema della difficoltà del riconoscimento e, laddove vi è trasformazione, vi è contemporaneamente dissoluzione dei contorni del σώμα, la morte definitiva dell’essenza dell’individuo a nutrire la macchina; così la psiche viene scomposta e riassemblata con dolore in qualcosa di oscuro, sopravvive e si ridispone in qualcos’altro che non ci appartiene più e, per dirla con le parole di Dario, confluisce verso un collettore di raccolta che sparisce nel buio più in alto.

Siamo di fronte a un inferno di ruggine e di vapore dove ancora una volta l’umanità che riesce a sopravvivere e a preservare la propria identità rappresenta il vero valore. In Afritania si legge:

«Macchine contro macchine. Da sempre. Inseguimenti, agguati, imboscate, battaglie furibonde. E i derelitti a bordo a fare da ciurma male assortita, semplici spettatori, vittime predestinate…»

Qui i derelitti di Dario sono simili agli umili manzoniani nella misura in cui resistono contro la classe dominante, ma il metallo affamato non lascia scampo alla provvidenza per cui gli eroi di Tonani sono più simili ai vinti verghiani, laddove vengono tutti indifferentemente condannati al volere di un fato rugginoso che li condanna all’oscurità:

«Anche se siamo morti, ci preoccupiamo molto delle ustioni. L’olio che scorre nei tubi. Le perdite. I fiotti di vapore rovente. Abbiamo imparato a capire quando muoverci: di notte l’olio è tiepido; di giorno brucia. Ma non sempre funziona.
Quanto alla tua seconda domanda, Esterno, non sono sicura di capire: non c’è nessuna forza, qui. Solo oscurità. E la gente riesce sempre a muoversi liberamente, “liberamente”, lungo i tubi, che sono come strade. Ma questo te l’ho già detto, vero? Come riesco a seguirti? I tuoi passi… fanno un rumore inconfondibile. Sei infetto, lo so. Non chiedermi come, lo sento. Sono i piedi. Fanno male? Ora tocca a me chiederti un po’ di cose. Ho dimenticato i colori dei fiori, me li descrivi? (…) Perché certe volte nessuno cammina lassù? Quante notti ci sono in un giorno?»

Mondo 9 di Dario Tonani, un universo godibilissimo di ottima fantascienza, oscuri presagi e orrorifiche visioni. Il libro è impreziosito dalle illustrazioni del maestro Franco Brambilla da me indebitamente utilizzate per ornare queste righe.

Mondo 9, di Dario Tonani – Delos Books, Collana Odissea Fantascienza

(Luigi Bonaro)