Cattive storie di provincia, un libro di Gordiano Lupi
Cattive storie di provincia, un titolo programmatico, denso di significato simbolico a delineare uno scenario, l’oscurità che emerge prepotente dalle pieghe dell’ordinario. Tante piccole storie di orrori quotidiani, piccoli affreschi di vita di provincia. Le pagine alternano tinte e toni variegati, di sottili affezioni e sofferenze, a volte gridati e a volte semplicemente bisbigliati. Rappresentazioni fulminanti e incisive nel raccontare storie minime, amori a pagamento, speranze sociali irrimediabilmente compromesse in una vita sospesa nell’attesa. Personaggi, colori e odori che tracciano uno scenario tra la cronaca nera e il versificare del quotidiano.
Di qui, il ribaltamento della prospettiva borghese che idealizza un certo tipo di piccolo mondo con le sue tradizioni e i valori conservativi di un popolo sacrificato sull’altare della modernità multimediale; forte è il riferimento al mass media e alla musica.
Un’intuizione moderna, quella di Lupi, e un’operazione culturale che combina insieme il noir, la modernità dei contenuti e l’amore per il classico italiano e francese. I temi di questa vita di provincia distrutta, il bovarismo nelle aspettative di Serena Lavezzi che mette da parte la sua laurea in ingegneria per ciabattare in vestaglia, delusa dalla vita dell’uomo che aveva idealizzato nel momento in cui i capelli biondi mostrano qualche linea bianca. Ritroviamo spesso nelle pagine di Verga o nella letteratura naturalista dell’epoca questo tentativo tutto letterario e sociale di ritrarre dal vero e di rivelare l’orrore delle umane passioni al di fuori di un finto e stonato idealismo di facciata.
Già nel 1865, nell’introduzione di Germinie Lacerteux, i fratelli Edmond e Jules de Goncourt scrivevano:
Ed ora questo libro venga pure calunniato: poco importa. Oggi che il Romanzo si allarga e ingrandisce, e comincia ad essere la grande forma seria, appassionata, viva, dello studio letterario e della ricerca sociale, oggi che esso diventa, attraverso l’analisi e la ricerca psicologica, la Storia morale contemporanea, oggi che il Romanzo s’è imposto gli studi e i compiti della scienza, può rivendicarne la libertà e l’indipendenza. Ricerchi dunque l’Arte e la Verità; mostri miserie tali da imprimersi nella memoria dei benestanti di Parigi; faccia vedere alla gente della buona società… la sofferenza umana, presente e viva.
Gordiano ritrae dal vero la realtà di provincia, creando uno spaccato di vita, immagini forti che richiamano a tratti la tacita e bruciante rassegnazione che emerge dalla lezione di Spoon River di Master, tanti piccoli ritratti legati a un tema principale, un poco come in una tavola di Bosh, piccoli scenari di vita quotidiana, tutti legati a un tema dominante, terribile e oscuro.
Così come si osserverebbe un quadro del pittore olandese, Lupi ci introduce attraverso le voci disperate di questi personaggi, attraverso i loro piccoli drammi e peccati quotidiani, attraverso il loro stravagante universo di religiosità privata e vizi morbosi opportunamente celati per arrivare al tema dominante, una verità tremenda celata in una casa isolata nella foresta.
Così scopriamo il giornalista scaramantico che saltella a piè pari; Serena, la madame Bovary di Piombino in vestaglia e pantofole; il figlio Marco studente gaudente con la passione per la tecno e l’insopportabile Vasco Rossi; la squillo albanese; il vigile buddista; l’operaio dell’altoforno; l’eterno secchione che sgobba ancora sul manuale di diritto privato, mentre la madre attende che Berlusconi renda vendetta al popolo facendo fede alla promessa data: sistemare tutti. «Lo darà anche a te». Flora ne è convinta. Del resto, lo ha detto la televisione e non può che essere vero.
Gordiano riesce a ritrarre gli effetti dei mass media sulla gente comune e a romanzarli mostrandone le inevitabili e devastanti conseguenze. Così facendo effettua una critica sociale al sistema che si potrebbe riassumere con uno stralcio a un’intervista fatta a Pasolini nel Corriere della Sera nel Dicembre del 1977:
«Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro, è tale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L’abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la “tolleranza” della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere è la peggiore delle repressioni della storia umana. Come si è potuta esercitare tale repressione? (…) Non c’è infatti niente di religioso nel modello del Giovane Uomo e della Giovane Donna proposti e imposti dalla televisione. Essi sono due persone che avvalorano la vita solo attraverso i suoi Beni di consumo (e, s’intende, vanno ancora a messa la domenica: in macchina). Gli italiani hanno accettato con entusiasmo questo nuovo modello che la televisione impone loro secondo le norme della Produzione creatrice di benessere (o, meglio, di salvezza dalla miseria). Lo hanno accettato: ma sono davvero in grado di realizzarlo?»
La realtà ritratta da Gordiano è sostanzialmente una società che ha perso la propria cultura popolare, dove i modelli tradizionali, svuotati del loro contenuto, sono ricostruiti in modo mistificante nell’illusione che mettere la testa sotto la sabbia e continuare a vedere la telenovela per non pensare e non soffrire, in virtù di un minimo piacere, possa in qualche modo mitigare, alleviare la necessità di un lavoro promesso dal politico di turno, di una famiglia che purtroppo non è quella dei mulini bianchi, di una serenità e di un’onestà coniugale che non è più tale.
Nella descrizione di questi personaggi, Gordiano trasla progressivamente il piano narrativo e il piano di realtà. Il simbolismo emerge progressivamente in modo forte e scardina completamente il tessuto sociale, sebbene già piuttosto compromesso, di queste vite, di questo Piccolo mondo antico malato e già al limite dell’ordinario.
Una casa nella foresta, l’orrore. La foresta che è da sempre l’archetipo del selvaggio, dell’oscuro e misterioso. La vecchia che racconta una vicenda. È il folklore che misteriosamente Gordiano fa ritornare in un mondo che lo ha rimosso. È il ritorno del monstrum ma in chiave moderna, ciò che la nostra società non accetta, l’oscurità, il negativo, quanto la collettività delega di se stessa a questa figura immaginaria, ma tremendamente più realistica perché ci appartiene.
Cattive storie di provincia è un noir a tutti gli effetti. Gordiano ribalta la prospettiva dell’ambientazione metropolitana, costruita dall’hard boiled e il noir americano in un processo di palingenesi della fabula tradizionale riportando l’ambientazione dalla giungla di cemento alla foresta.
Così fa della cronaca il romanzo e delle persone comuni dei piccoli protagonisti raccontando, in fondo, la realtà della vita quotidiana, in un racconto che è tanti racconti, in una vita che è tante vite, in una dura storia di paese che è tante cattive storie. Guardatevi dal male perché è dentro di voi.
(Luigi Bonaro)
Non merito una recensione così bella. Il mio è soltanto un libro di racconti… in ogni caso, grazie!