Carnevale, di Fabio Giannelli
Non mi è mai piaciuto il carnevale. È una festa che odio.
L’unica festa che non sopportavo persino da bambino. I miei genitori mi obbligavano a mascherarmi con i costumi più idioti: il barbone era il più gettonato, ma anche il maratoneta e il classico vampiro.
Ma il peggiore di tutti era Zorro.
L’unico costume che mia madre fu in grado di cucire con qualche scampolo e pochissima spesa. Nei primi anni di scuola elementare venivo immancabilmente fasciato in questa tutina nera aderente, coperto da un mantello a toppe e munito dell’importantissima maschera. Per non parlare della spada di plastica.
Uno dei più terribili ricordi fu in prima o seconda elementare. Mia madre mi vestì di tutto punto con tuta, mantello, maschera e spada finta e mi mandò a scuola per i soliti festeggiamenti. Lei non aveva la patente e mio padre era sempre fuori per lavoro, così ero stato abituato a raggiungere la scuola con i mezzi pubblici. Salendo sull’autobus, mi accorsi subito che c’era qualcosa che non andava: nessuno degli alunni della mia scuola era mascherato. Tutti mi risero in faccia. Ma Dario, è domani il carnevale! La festa in maschera a scuola non è oggi! Ricordo che rimasi pietrificato. Vi è mai capitato di trovarvi nudi in mezzo a gente vestita? O vestiti in una spiaggia di naturisti? Tremenda vergogna nel primo caso e un po’ di imbarazzo nel secondo. Il mio fu puro e autentico terrore.
Avevo sbagliato giorno ed ero diverso da tutti gli altri. Ripenso spesso a quell’episodio.
Gianni crede che sia cominciato tutto da lì.
Odio il carnevale perché sei obbligato ad avere una maschera. Succede anche a me e non è una mia scelta. Le maschere che indosso sono come il pennello per l’imbianchino o lo spartito per il musicista. I miei clienti mi vogliono così. Non che sia brutta, anzi. Ho un bel viso, sono alta, un bel seno, un culo che pare ghisa e un gingillo là in mezzo che farebbe invidia a un attore di film porno. Gianni mi ha chiesto quando e come è cominciato, ma non ricordo bene. È nato tutto per gioco, un giorno qualcuno mi ha detto “mettiti una maschera” e io l’ho fatto. Per così poco mi sono detta. Spesso le fantasie dei clienti sono ben peggiori di un pezzo di plastica davanti agli occhi. Non pensavo che la voce si spargesse tanto in fretta e che arrivasse a così tanta gente.
Adesso possiedo tantissime maschere e il cliente sceglie la maschera che si adatta al nostro incontro. Qualcuno mi chiede di coprirmi solo gli occhi, altri vogliono che sia coperto tutto il viso. La tigre o la pantera per i più focosi, il gatto per chi vuole le fusa, un uomo fosco per chi vuole essere posseduto o una maschera bianca per chi semplicemente non vuole vedermi in viso. A Gianni piace quella da Principessa ed è anche la mia preferita. La uso solo per lui.
Qualcuno mi chiama Pulcinella, altri Colombina. I più fantasiosi mi danno nomi strani: la Maschera della Notte, l’Arlecchino dell’Amore.
Ma io sono solo Daria. Amo Gianni e odio il carnevale.
Ti raggiungo in Piazza. Riconoscerei la mia Principessa ovunque mi ha detto, ma oggi la città è piena di gente mascherata e carri allegorici e c’è tanta confusione. Musica, danze, bambini che corrono dappertutto. Temo che Gianni non riesca a vedermi.
Anche se sono rintanata in un angolo, continuo a incrociare i miei clienti, in compagnia delle famiglie o a spasso con le donne che mi guardano dall’alto al basso. Non li posso sentire ma vedo che sulle labbra affiora la parola travestito che in un contesto come quello di oggi può essere frainteso, ma non da me.
Provo a telefonare a Gianni ma il cellulare è staccato. Eppure aveva detto che la famiglia era fuori città. Lo attendo a lungo, ho il tempo di vedere tutta la sfilata e di subire offese sussurrate, sguardi taglienti e disgustati, bisbigli e risatine.
Quando capisco che non verrà più, torno a casa. Mi spoglio nuda, rintanandomi nel caldo delle coperte.
Quasi non mi accorgo delle lacrime che scendono sulle guance quando penso a quanto odio il carnevale.
Un ottimo racconto, meritatamente vincitore dell’ultima edizione di Minuti Contati.