Un ricordo di Paolo De Crescenzo
L’editoria italiana ha perso un uomo di talento, di coraggio e con una visione, il che è molto di più di quello che si possa dire di tanti editori contemporanei di grande successo commerciale. Da tempo non era più al timone della sua casa editrice, impegnato nella lotta contro un male che alla fine lo ha reclamato, ma rimane il suo lascito. E proverò a spiegare il perché.
Ho conosciuto Paolo De Crescenzo nel 2009. In quel periodo frequentavo un master in editoria alla Luiss e stavo preparando una di quelle che si chiamano pomposamente “tesine”, su una casa editrice di mia scelta: la Gargoyle Books, un marchio nato nel 2005 con un progetto editoriale audace, sotto certi aspetti suicida se visto nel panorama dell’editoria italiana. Una casa editrice che si sarebbe concentrata sull’horror e sul dark fantasy, che avrebbe pubblicato le opere dei migliori autori in edizioni ben curate e tradotte. Una casa editrice che voleva diventare un punto di riferimento per gli appassionati.
Ce n’era abbastanza per avere curiosità di vedere l’uomo dietro al sogno, e fu quello che feci a Più libri più li(b)eri del 2009. In realtà, l’incontro si risolse in poca cosa. Paolo De Crescenzo e io parlammo un po’ – non molto, a dire il vero – gli accennai della mia ricerca e si mostrò assai gentile e disponibile. Con il senno di poi, rimpiango di non essere andato molto oltre quell’incontro ma – un po’ per congenita timidezza, un po’ perché ti ripugna occupare il tempo prezioso di un editore, e un editore che lavora sul serio ha pochissimo tempo – scelsi infine di fare la mia ricerca da solo studiando il catalogo e il materiale ufficiale della casa editrice, così come le diverse interviste di De Crescenzo. Forse con l’idea inconscia che già i libri della Gargoyle mi dicessero molto dell’uomo, della sua competenza, passione e impegno in un’impresa che vista oggi ha quasi dell’incredibile: la creazione di un marchio praticamente dal nulla e di una piccola «biblioteca essenziale della paura in letteratura» secondo una felice definizione di Danilo Arona, che con Gargoyle ha pubblicato quella summa della sua poetica che è L’estate di Montebuio.
A dire il vero, non saprei bene da che angolo affrontare la cosa, perché il lavoro che De Crescenzo ha fatto alla Gargoyle è come uno di quei diamanti dalle molte facce: non sai quale guardare senza rischiare di trascurarne un’altra.
A cosa dare la preferenza? Ai libri di Gargoyle, intesi come oggetti fisici da sfogliare, da collezionare e fatti per durare? Alle loro introduzioni stimolanti con le esaurienti note al testo? Al fatto di aver portato in Italia per la prima volta autori del calibro di Chelsea Quinn Yarbro, con il suo Saint-Germain o strane gemme come Caitlin Kiernan? Alla riscoperta di autori come McCammon e il Simmons di Danza macabra, portati in Italia dai grandi dell’editoria e poi dimenticati? O al gusto per i classici, che lo spinse a scoprire un Le Fanu, che aveva scritto molto più che la sola Carmilla, e a pubblicare Varney il Vampiro? Alla saggistica, con la nuova edizione di Io credo ai vampiri di De’ Rossignoli e il Dracula cinematografico di The Dark Screen? Oppure a…?
Ma a me piace ricordarlo soprattutto come l’uomo che ha voluto credere nella possibilità di un horror di scuola italiana, e in quella di trovare autori che potessero esserne all’altezza. Mentre l’Italia si trastullava con i patemi di Twilight, De Crescenzo ci ridava il Gianfranco Manfredi di Magia rossa, di Ultimi vampiri e di Ho freddo e l’Arona dell’Estate. Con Il 18° vampiro, scopriva un sorprendente autore che rispondeva al nome di Claudio Vergnani e ci dava Il diacono di Andrea G. Colombo.
Ed è in questo, penso, che consiste il suo lascito duraturo. Passione, coraggio e visione dovrebbero essere le caratteristiche di ogni editore (e imprenditore) degno di questo nome e Paolo De Crescenzo ne aveva d’avanzo. Chi si farà avanti per reclamarne l’eredità e proseguirne l’opera? Qualcuno forse un giorno, ma di certo non gli strapagati manager di Segrate.
(Francesco G. Lo Polito)