Il mistero dell’orto di Rocksburg, di K.C. Constantine

Titolo: Il mistero dell’orto di Rocksburg
Autore: K.C. Constantine
Editore: Carbonio Editore
Anno: 2018
Pagine: 234
Prezzo: 15,50 euro (cartaceo)

Sinossi

A Rocksburg, Pennsylvania, sembra che non accada mai nulla. Eppure, tra le casette ordinate e linde di questa sonnolenta provincia americana, non tutto è tranquillo come appare. Lo sa bene Mario Balzic, capo della polizia, che a Rocksburg vive da sempre. Di origini italo-serbe, incline all’alcol e al turpiloquio, Balzic è un tipo burbero ma di buon cuore, che non disdegna i metodi poco ortodossi pur di ristabilire la giustizia. Stavolta Balzic deve vedersela con una sua vecchia conoscenza: la signora Frances Romanelli, allarmata dalla scomparsa del marito Jimmy, ex minatore, che negli ultimi tempi era dedito alla coltivazione di un rigoglioso campo di pomodori. E proprio intorno a quell’orto aleggia un mistero, preludio di una serie di morti sanguinose che di lì a poco sconvolgerà la cittadina.

La recensione di Nero Cafè

Il mistero dell’orto di Rocksbug è il primo dei sedici titoli che comporranno la serie di Mario Balzic, un capo della polizia assai particolare nelle cui vene scorre sangue per metà italiano e per metà serbo. Di lui, però, parleremo più in là. A introduzione della recensione vera e propria, eccovi qualche ragguaglio in più sull’autore: K.C. Constantine è lo pseudonimo usato da Carl Constantine Kosak, nato in Pennsylvania nel 1934. Di lui si hanno poche notizie: ha studiato al Westminster College e ha prestato servizio nei Marines nei primi anni ’50; è stato per diverso tempo insegnante d’inglese, fintanto che non ha rinunciato a conseguire il master e ciò ha causato il suo licenziamento. Senza più lavoro, Kosak si dedica alla scrittura a tempo pieno. Non si è mai mostrato al pubblico prima del 2011, quando decide di partecipare al 16° Festival del Mistero, dove firmerà i suoi libri e rilascerà un’intervista dal vivo.

Il romanzo risulta davvero fluido e coinvolgente, infatti il lettore non accarezzerà mai l’idea di abbandonarne la lettura, vuoi per una struttura lineare e, quindi, assai agevole, vuoi per uno stile asciutto, essenziale e “sporco” quanto basta, che si sposa perfettamente sia col genere, sia con l’ambientazione, sia ancora con i temi trattati. La penna di Constantine è davvero pregevole e trova sua massima espressione nei dialoghi, con i quali dà forza all’ambientazione e alla profondità psicologica ai personaggi. La scrittura, quindi, non è artefatta, va dritta al punto, non presenta artifici, eppure non rinuncia né alle metafore né ai dettagli storico-descrittivi.
L’ambientazione è coerente con l’America degli anni ’80 e con la situazione socio-politica della Pennsylvania, appartenente alla cosiddetta Rust Belt (letteralmente: “cintura di ruggine” – NdR), che indica tanto una zona geografica quanto il triste fenomeno del declino economico e sociale e dello spopolamento a causa della contrazione del settore industriale. Constantine rende reale Rocksburg, vestendola di un passato all’insegna del duro lavoro e di un presente in cui tutto si trascina con tristezza e ineluttabilità, a colpi di birre e assegni di disoccupazione. Eccellente la caratterizzazione dei personaggi: nessuno ricalca gli altri, tanto nelle azioni quanto nell’espressione linguistica; possiedono tutti il loro carattere, il loro pensiero politico e sociale, la loro parlantina, complici anche dialoghi magistrali che pennellano situazioni e soggetti, rendendoli vividi, tanto che il lettore riesce a decifrarne la postura, i movimenti, le espressioni, i sentimenti quasi sempre a metà strada tra il bene e il male.

Il mistero dell’orto di Rocksburg è un romanzo che va letto. Non aspettatevi, però, uno di quei gialli tutto colpi di scena e pistole alla mano, in cui scorrono maree di indiziati e la Scientifica la fa da padrona. No, l’opera in questione presenta una trama poliziesca piuttosto semplice (può capitare che individuiate il colpevole prima della fine, ma leggendolo capirete che ciò non conta poi così tanto), nulla di artificioso, eppure sotto di essa rifulge la narrazione spietata dell’America rurale dell’epoca, le antipatie razziali mai sopite, le lotte sindacali, la mentalità ristretta che relegava le donne a semplici figure casalinghe. Constantine sfrutta così la scomparsa di Jimmy Romanelli per dipingere un quadro rugginoso e decadente della propria nazione.
Ho già detto che i personaggi sono grandiosi, tuttavia vorrei spendere ancora qualche parola proprio sul protagonista indiscusso del romanzo, ovvero Mario Balzic. Ecco, io lo adoro. Può sembrarvi un’affermazione semplicistica, però vi assicuro che non lo è: il nostro poliziotto non è un eroe, bensì un antieroe per eccellenza, dal gomito alto e la parlantina feroce; ha colpi di testa, non guarda in faccia a nessuno e sa essere irriverente e spietato. Eppure, sotto la maschera da zuccone villano, nasconde un cuore d’oro, una propensione ad aiutare gli altri che lo fa brillare nel cielo di carbone di Rocksburg. Balzic passa così da personaggio a persona, prende corpo, ti conquista e ti fa desiderare di averlo alla tua tavola (sulla quale, ovviamente, non può mancare qualche bottiglia di Mondavi).
Potrei dire molto altro su quest’opera. Approfondire la questione dialoghi, che hanno un ruolo predominante e sono fondamentali per lo sviluppo dell’intera trama e dei personaggi, dirvi quanto sia morente la cittadina di Rocksburg e via dicendo, ma vorrei che lo leggeste, perché solo così potrete capire la potenza evocativa di questo scrittore.
Una cosa, però, voglio aggiungerla: non ho potuto evitare di paragonare Il mistero dell’orto di Rocksbury al più recente Ruggine americana, di Philipp Meyer, libro che ho amato con tutta me stessa. Ambedue i testi sono pregni di decadenza e malinconia e raccontano un’America dove il progresso è imploso, lasciando nella società e quindi nelle persone stesse una profonda amarezza: nessuno combatte più, tutti si trascinano nell’indolenza e nella sicurezza di qualche assegno statale, in un paesaggio statico e immutabile dove il male, spesso, è in agguato travestito da bene e viceversa.

Lettura straconsigliata, ma ripeto: non affrontatelo come un semplice giallo, perché è molto, molto di più.

Estratto

Balzic annuì pensieroso, riflettendo sul perché non fosse rimasto in contatto con un uomo con cui suo padre aveva condiviso così tanto. “Sì, erano uomini speciali, fatti di un’altra pasta”.
Balzic stava pensando a Mike Fiori, a suo padre e a gente come loro, che aveva trascorso la propria vita lavorativa sotto terra, facendo a pezzi il carbone bituminoso con picconi e pale, il più delle volte senza poter tenere la schiena dritta e spesso in ginocchio. Balzic rabbrividì. Odiava le miniere. Non aveva mai sofferto di claustrofobia, non c’era mai una situazione in cui potesse trovarsi che gli desse quella sensazione, eppure gli bastava pensare a una miniera di carbone e si sentiva stringere il petto e il respiro venire meno, e cominciava ad ansimare come se stesse soffocando. Quando gli capitava, provava un eccessivo senso di colpa per non essere stato in grado di controllarsi e poi si sentiva stupido per quel senso di colpa, ma accadeva ogni volta. Bastava che pensasse a una miniera ed era spacciato. Vuotò il bicchiere e fece cenno a Vinnie di riempirlo di nuovo.

Valutazione: quattro coltelli e mezzo.

(Tatiana Sabina Meloni)

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