Cascina smorta, di Antonio Zamberletti

Nessun Messia aveva salvato l’umanità, né liberato tutti gli schiavi, né convinto gli uomini a fare qualcosa di più utile che non scannarsi in continuazione. Quello che ci aveva provato s’era scontrato coi peggiori guerrafondai del tempo, i romani delle legioni, dell’Impero, dei gladiatori, ed era stato attaccato al legno di una croce con tre chiodi. Non c’era nessuna salvezza, non esisteva nessuna redenzione. Non per questa umanità.

Dopo 20 anni a girovagare per commissariati sparsi in tutta Italia, Andrea Modica torna a casa. Ha fatto carriera, è stato nominato capo della Squadra Mobile locale. Un funzionario che è passato dalla gavetta. E qui ritrova tutto il suo passato. La casa di famiglia, le nebbie umide, i vecchi colleghi. E il luogo. Cascina smorta, vecchio casolare abbandonato teatro delle scorribande d’infanzia della sua combriccola. Vicino alla quale viene trovato uno scheletro di un bambino, morto ammazzato circa vent’anni prima. Andrea Modica si ritrova a scavare dentro se stesso, tra continui flashback del tempo che fu, per chiudere vicende da troppo tempo lasciate in sospeso. E che lo porteranno sulle tracce del killer.

Bene! Siamo finalmente sotto le feste di Natale. Cosa c’è di meglio che acciambellarsi sul divano, magari vicino a un fuoco scoppiettante, un plaid sulle gambe, e leggere un buon libro? Eccoci qua. Cosa abbiamo? Cascina smorta. Analizziamo il titolo. “Cascina” piace, evoca profumo di campagna, di fieno bagnato. “Smorta”. Smorta? L’intestazione, purtroppo, è fondamentale in ogni opera, facciata d’impatto che dovrebbe invitare, intrigare, quasi sedurre, come fosse il primo sguardo tra due persone. Ma che sensazioni può suscitare “smorta”, un termine così floscio? A mio avviso sonno, apatia. Decisamente, ritengo, una scelta poco azzeccata.

Ma vediamo di cosa si tratta. L’atmosfera c’è. Fredda, tetra, come una lama di vento che ti taglia la guancia. Lo stile, pure, asciutto, concreto, venato di malinconia disincantata. Antonio Zamberletti, l’autore, è del mestiere e si vede. Viene da un reparto operativo della Polizia di Stato. E offre una panoramica completa del settore, con le diverse prototipologie di affiliati, col protagonista che ne è un po’ la summa, diviso tra convinzioni e disincanto, soprattutto con la perenne spinta a essere altrove, o a non essere. E nonostante non si senta grande odore di novità, non si percepiscano suoni nuovi, il romanzo appassiona, lega alla lettura. Perché è ben costruito, onesto, avvincente e di un certo spessore, con venature sociologiche anche interessanti. Con un costante e uniforme sfondo nero. L’ennesimo Baldiniano, emulo del maestro del gotico rurale, che però si erge decisamente di parecchie spanne sulla media per qualità.
Un’opera davvero interessante, perfetta per lunghe e fredde notti d’inverno, passate su un divano vicino a un fuoco a leggere Cascina smorta. Temo soltanto che il lettore distratto, aggirandosi per gli scaffali di una libreria, possa non essere attratto da questo titolo. Perdendosi qualcosa di parecchio interessante.

Quattro coltelli.

(Giovanni Cattaneo)

terzo occhio 4 coltelli