Incontro con Matteo Bertone: la strega come simbolo di libertà
Secondo appuntamento con la rubrica Il gatto a nove code. Stavolta incontriamo Matteo Bertone, autore per Nero Press Edizioni dei romanzi Diurno Imperfetto e Le Impure, e del libro illustrato per ragazzi Illustri vampiri, di cui è anche disegnatore.
Ciao e benvenuto, Matteo. Pronto? Cominciamo.
1. Il concepimento.
D: Come è nato Le impure, il tuo ultimo romanzo?
R: C’è una triplice spinta creativa all’origine de Le Impure: la storia nasce da una visione, da una suggestione e da una domanda. Una sera di molti anni fa ho visto una donna vestita di stracci che si aggirava su un bus fermo al capolinea, a Milano, e parlava fra sé. Aveva i piedi scalzi, le braccia nude e scarne, lo sguardo abitato da fantasmi, e mi sono domandato: potrebbe essere una strega? Una strega nel senso più puro del termine, senza accezioni negative, ingiuriose, sessiste. Quali sono, al di là dei cliché e delle rappresentazioni stereotipate, le caratteristiche sociali, psichiche, fisiche che potrebbero istintivamente definire una strega? E così ho iniziato a indagare, a leggere libri, a scavare. Non mi interessavano più di tanto i classici trattati sull’inquisizione, ma piuttosto le opere che raccoglievano leggende e superstizioni locali, delle mie zone, in Piemonte, in epoche tutto sommato recenti. Non mi interessavano i grandi processi di stregoneria, ma le piccole storie locali, nate nei borghi contadini alla fine del XIX secolo, sulle colline, nei villaggi alpini, storie che parlavano di donne vittime di maldicenze e isolate perché vedove, perché malate, perché poco devote, perché troppo libere, perché capaci di leggere un libro, e spesso considerate diverse, pericolose, malvagie. Sono partito da qui e ho deciso di creare una famiglia di donne, tre generazioni, ognuna diversa dall’altra, ma unite da qualcosa di profondo. Streghe? Forse. Magari non lanciano sortilegi, ma ognuna delle tre si è ribellata a un potere precostituito, ha infranto le regole, ha vissuto secondo le proprie leggi. Ecco cosa le rende streghe agli occhi del mondo in cui vivono, con tutte le accezioni del caso. La suggestione? Ho ambientato la storia tra i boschi del biellese, che conosco bene fin da quando ero bambino, che da sempre mi influenzano, vivono dentro di me e abitano le mie fantasie.
2. La scrittura.
D: In che modo sei arrivato a dare al romanzo la sua struttura definitiva?
R: È stato molto difficile riuscire a concepire la struttura, perché le tre protagoniste vivono tempi diversi, non si incontrano se non in momenti specifici del passato, eppure era necessario dar voce a ciascuna delle tre, in qualche modo. Perciò la struttura ha subito molte modifiche, anche drastiche, nel corso delle varie stesure, fino a quella definitiva per la quale il lavoro di editing con Nero Press è stato non solo prezioso, ma fondamentale.
3. I personaggi.
D: Parlaci di come hai gestito i personaggi… o forse loro hanno gestito te?
R: Sembra una battuta, ma è proprio così. I personaggi, a un certo punto, hanno una voce e una personalità talmente forti da prendere il sopravvento sul narratore. Non puoi decidere di manipolarli, non hai la libertà di muoverli come marionette, sono loro a condurti per mano, a decidere cosa vogliono dire, a camminare in autonomia e a compiere delle scelte. Tu non puoi che assecondarli. Questo, ovviamente, non è un processo immediato o banale, e nemmeno può essere semplificato con la compilazione di quelle che alcuni chiamano “schede personaggio”. Non basta che io metta per iscritto su un foglietto il colore degli occhi, tre aggettivi per definirne la personalità, qualche nota sul suo passato, per poi aspettarmi che il personaggio prenda vita. Tutte quelle informazioni sono quasi secondarie rispetto al modo in cui il personaggio si muove nella storia, parla, interagisce e prende decisioni. I personaggi diventano tridimensionali col tempo, e quando iniziano a vivere nella tua testa non serve che tu verifichi sul tuo foglietto se sono iracondi o miti, decisi o timidi, saranno loro a imporre la propria personalità alla storia.
4. Autocritica.
D: Se dovessi dare un giudizio al tuo romanzo da lettore, che giudizio sarebbe?
R: Tendo a essere piuttosto onesto nei giudizi in generale, e molto autocritico. Da lettore credo che sia tutto sommato un buon romanzo, ben scritto e ben costruito, con molti margini di miglioramento su certi passaggi forse deboli della trama, qualche ingenuità nei dialoghi, un po’ troppa fretta in certi capitoli.
5. Il pubblico.
D: Hai avuto un riscontro critico da parte del pubblico?
r: Ho avuto riscontri molto positivi. Forse chi si aspettava un classico libro di streghe è rimasto deluso, viceversa chi lo ha letto senza aspettative di genere ha apprezzato molto la storia, la scrittura e le ambientazioni boschive. Gli apprezzamenti per me più preziosi sono sempre quelli inaspettati, da parte di persone che non ti conoscono e non hanno alcun interesse a farti dei complimenti. Non credo molto nelle recensioni su Amazon, spesso fatte da amici o altri scrittori della tua piccola cerchia – io ne ho pochissime – ma credo nelle persone che mi guardano negli occhi e mi dicono che hanno amato la storia, che si sono ritrovate a camminare nei boschi con Elettra, la protagonista, che hanno intravisto nella nonna di Elettra, Caterina, qualcosa del loro passato. Ed è successo.
6. L’orrore.
D: Cos’è per te l’orrore?
R: Domanda difficile. Ne parlavo qualche settimana fa con un amico che condivide con me la passione per i film horror. Negli anni ne abbiamo visti a centinaia, ma adesso per avere paura non ci bastano più filmetti raffazzonati infarciti di classici cliché. L’horror per me oggi deve spogliarsi di ogni schema narrativo, evitare di copiare i maestri del passato e sforzarsi di indagare in profondità il presente. Non mi interessa leggere una versione moderna di un racconto di Lovecraft – scritto magari con lo stesso lessico ridondante e una forma stilistica desueta – e non voglio nemmeno che altri scrittori mi spieghino l’orrore della pandemia, visto che tutti lo abbiamo vissuto. L’orrore per me è l’inaspettato che si cela dove meno ce lo aspettiamo, e può prendere molte forme. Hai presente il film Parasite? Be’, ha vinto la Palma d’Oro al festival di Cannes nel 2019, quindi non è certo un film di nicchia. Ma se non è orrore quello…
7. Le tue letture.
D: Quali sono i libri o gli autori che ti hanno formato come scrittore?
R: Io credo che l’unica regola imprescindibile per uno scrittore sia leggere, leggere sempre. Possono esserci dei libri che ti hanno spinto a iniziare, ma se ti fermi a quelli, a un genere, a pochi autori, non evolverai mai, resterai fermo lì. Per questo io cerco di leggere il più possibile, di leggere libri del passato e del presente, di capire perché certi libri hanno successo – non parlo di Fabio Volo, naturalmente, ma di libri che magari vincono lo Strega – e domandarmi quale sia il segreto dietro al successo di quelle storie. A nominare qualche autore di riferimento si rischia sempre di passare per mitomani (ci sono quelli che citano i maestri della letteratura per dimostrare di essere dei grandi scrittori). Se mi avessi fatto la stessa domanda quando ho iniziato a scrivere ti avrei citato alcuni libri, ma oggi, a distanza di oltre vent’anni, te ne direi altri. Diciamo che da qualche anno leggo molti autori americani contemporanei, da Peter Cameron a Richard Ford, da Elizabeth Strout a Philip Roth. Ma leggo anche tantissimi autori italiani.
8. Sconsigli da autore.
D: Hai capito bene. Quali sono i tuoi s-consigli per chi vorrebbe pubblicare per la prima volta?
R: Negli ultimi anni ho imparato una cosa: pubblicare non è importante. Sembra una provocazione, ma non lo è. Non si scrive per pubblicare. Attenzione, questo non significa che si scrive solo per se stessi, chi scrive per se stesso non produce narrativa, ma un diario, la cosiddetta scrittura ombelicale. Però allo stesso tempo non si scrive con la finalità di pubblicare. Ormai tutti possono pubblicare, basta mettere il proprio libro su Amazon, promuoversi sui social nella propria bolla di amici e conoscenti, fare qualche bella campagna sponsorizzata et voilà, il nostro ego gongola di felicità. Liberissimi di farlo. Ma scrivere non è questo. Scrivere è innanzitutto leggere, e poi lavorare alla propria scrittura per migliorarla, come uno scultore lavora con lo scalpello, giorno per giorno, parola per parola, per trovare una voce e cercare il modo migliore di raccontare storie in modo intenso e vivido. Chiedetevi sempre per quale motivo volete scrivere (e pubblicare): è una specie di urgenza che vi brucia dentro o è il desiderio di dimostrare alla vostra bolla di amici e parenti quanto siete in gamba? E, aggiungo, se nessuno vuole pubblicarvi, non dovete per forza dare la colpa al malvagio e corrotto mercato editoriale che non riconosce in voi il nuovo Hemingway anche se la vostra fidanzata dice il contrario, provate a lavorare sulla scrittura, a una nuova storia, fate un corso, leggete altri autori, confrontatevi. Io ho buttato nel cestino centinaia e centinaia di pagine, romanzi interi e decine di racconti. Tutto serve per crescere, per migliorare, e, quando sarà il momento, una strada la troverete.
9. E poi.
D: Quali sono i tuoi progetti futuri?
R: Dovrebbe uscire un mio nuovo libro a breve (non dico altro per scaramanzia, di questi tempi è tutto fragile e precario). Nel frattempo sto lavorando a un altro romanzo che mi impegna ormai a fasi alterne da quattro anni. Ma sono testardo e prima o poi riuscirò a trovare la via per raccontare la storia nel modo giusto. Per la pubblicazione… si vedrà. Pubblicare non è (così) importante.
Grazie per il tuo intervento e in bocca al lupo per tutto.
(Daniele Picciuti)