Incontro con Gloria Scaioli: sperimentare con il retro-futurismo

Ciao e benvenuta nella rubrica Il gatto a nove code. Pronta? Cominciamo.
1. Il concepimento. Come è nato Lo strano caso del signor Cetus?
R: Il romanzo nasce da un’idea specifica, ma se la rivelo faccio uno spoiler enorme. Perché, sì, c’è un colpo di scena che si comprende nel finale (amo i colpi di scena). In questa sede cercherò di non spoilerare e di limitarmi a dire il dicibile. La base di tutto è il fascino dello steampunk. La sfida è stata rendere il forte potere visuale di questa corrente in un ambito solo descrittivo, cioè senza immagini. Ho giocato su una serie di fattori che rimandassero al campo semantico dei meccanismi (l’iperantropo), dell’ibridismo e in generale della macchina (la locomobile e il treno a vapore), tutto in salsa retro-futurista. Dunque ho cercato termini vintage, coniato qualche neologismo passatista, ricalcato le orme di illustri proclamatori di facezie bizzarre. Ne nasce, spero, una storia che si fa leggere su due livelli, uno quello della trama che procede sull’enigma del signor Cetus, l’altro, quello della parola, che, con un continuo inventare e giocare con i termini (Magritte è il mio maestro), spinge il lettore a un’attenzione divertita.
2. La scrittura. In che modo sei arrivata a dare al romanzo la sua struttura definitiva?
R: Il romanzo è organizzato in capitoli alternati a interludi. Nei capitoli viene portata avanti la trama, mentre gli interludi sono sperimentali e solo apparentemente slegati dal contesto. Mentre si procede, ci si rende conto di come gli interludi siano in realtà parte integrante della storia. Ho usato il termine “sperimentale” che risulta un po’ pomposo. Intendo che seguono tipologie narrative eccentriche: c’è una finta lettera di Leonardo da Vinci in un italiano dal sapore quattrocentesco, altre lettere, biglietti, commenti, stralci di diario. Servono a dare una patina di falsa realtà a una storia palesemente assurda, ma anche a dare concretezza ai personaggi, facendoli, di fatto, salire alla ribalta con le loro stesse parole, per i 15 minuti di fama promessi (o, meglio, che saranno promessi in futuro, perché tutto è relativo) da Andy Warhol.
3. I personaggi. Parlaci di come hai gestito i personaggi… o forse loro hanno gestito te?
R: I miei personaggi sono piuttosto anarchici. Meroveo, guru illuminato del romanzo (“protagonista” è riduttivo e penso che non gli piacerebbe) ha sempre una buona parola (ovvero una cattiveria) per tutti e forse avrebbe da ridire anche sul romanzo. O forse no, è imprevedibile. La galleria dei personaggi è varia (ed eventuale): Toshiro, Dioneo D’Annunzio l’iperantropo, Madame Chahut la circense, Aloisia il capitano di una mongolfiera. E poi, naturalmente il signor Cetus. La mia intenzione è stata di marcarli, a prescindere dalla loro effettiva incisività nel racconto. E allora anche lo squinternato Acabio, che in sostanza potrebbe essere definito una comparsa, si prende i suoi spazi. Nella stesura dei caratteri mi aiuta moltissimo l’attività che faccio con il mio gruppo di teatro. Scrivendo i testi per attori in carne e ossa, ho l’abitudine di pensare ai personaggi come persone vere. Non so se il discorso è chiaro. Ma d’altronde si continua a studiare Hegel anche se non è affatto chiaro, quindi non vedo perché io dovrei impegnarmi in discorsi lineari.
4. Autocritica. Se dovessi dare un giudizio al tuo romanzo da lettrice, che giudizio sarebbe?
R: Promessi sposi spostatevi proprio. Per la cronaca, non è un refuso, non “sposatevi” (a questo punto che si sposino non penso sia spoiler, anche se, con la decadenza della cultura di oggi forse niente è da dare per scontato), ma “spostatevi”, ovverosia “fate largo”, “lasciatemi spazio” o, per dirla in maniera popolare che piacerebbe a Toshiro “pistaaaaa”. Sì, lo so, la modestia è la mia migliore qualità.
5. Il pubblico. Hai avuto un riscontro critico da parte del pubblico?
R: Quando Marinetti venne a Forlì, che è la mia città, nel 1914, per portare un suo spettacolo, il letterato Filippo Guarini commentò: “A questi originali, strani e indecenti attori non mancano da parte del pubblico fischi e proiettili, come fagiuoli e scarpe vecchie”. Io non aspiro a niente di meglio.
Interludio: mia madre l’ha letto quattro volte e non accenna a voler smettere
Interludio 2: ho ricevuto simpatici commenti da alcuni lettori sconosciuti sui social che mi hanno fatto molto piacere
Interludio 3: i miei studenti sono una causa persa. Ma d’altronde “Nemo propheta in patria” (sottotitolo, se non sei il capitano del Nautilus, non aspettarti di essere gradito in patria. Mamma esclusa, vedi sopra).
6. L’orrore. Cos’è per te l’orrore?
R: Seriamente? Basta guardare i fatti di cronaca per vedere l’orrore vero. Se invece vogliamo spostarci in ambito più leggero e intendiamo la domanda in sfumatura di fiction/letteratura, allora possiamo addentrarci in un discorso più articolato. Senza stare a scomodare il Kurtz di Cuore di Tenebra, che ancora non ho capito che cosa intendesse Conrad con quel finale, direi che l’orrore è quel brivido che nel romanzo ti spinge a voler chiudere la pagina, ma nello stesso tempo a volerla leggere. Cioè in sostanza poi scomodiamo Schiller o Burke o altri romanticoni (termine inteso in senso ottocentesco e con accrescitivo gerarchico). Nel mio romanzo non si trova l’orrore in senso specifico, ma una sorta di sua rimasticazione e restituzione sublimata (tout se tient). Cioè, provate un pochino a leggere in senso letterale la storia e vedrete, per dire solo un esempio citabile senza grande sforzo, un personaggio che è un soldato dilaniato da un’esplosione cui sono stati impiantati dei componenti metallici. Per non parlare del dramma, più di nicchia, di un uomo che non riesce a ottenere rispetto dal proprio maggiordomo. Ma tutto, in questo mondo sopra le righe, diventa parte del gioco della vita e anche l’orrore, alla fine, non lo è poi così tanto. Se però parliamo di orrore in senso spicciolo anche la pizza con l’ananas non scherza.
7. Le tue letture. Quali sono i libri o gli autori che ti hanno formato come scrittore?
R: Aiuto. La prima volta che ho deciso che avrei scritto qualcosa è stato leggendo Asimov. Che è serio, lo so. Se vogliamo andare su qualcosa più vicino al mio romanzo, allora citiamo La guida galattica per autostoppisti di Douglas Adams. Poi Bradbury de Le cronache marziane. La mia nonna, che portava il nome di una dea indiana, Sita, e con la quale condividevo anche la passione per Raymond Chandler, mi diede un vecchio libro distrutto con dentro le cronache marziane. Tristissime, ma illuminanti. Poi naturalmente tutti i miei odiati-adorati filosofi, poeti, artisti che ho studiato a scuola (studio matto e disperatissimo) e che (dopo) ho imparato ad amare (o no?).
8. Sconsigli da autore. Hai capito bene. Quali sono i tuoi s-consigli per chi vorrebbe pubblicare per la prima volta?
R: Sconsiglio di: prendersi troppo sul serio; arrabbiarsi se la gente fa commenti cretini, non capisce il romanzo, non sa chi è Hegel; pubblicare a pagamento. Non necessariamente in quest’ordine.
9. E poi. Quali sono i tuoi progetti futuri?
R: Avrei veramente voglia di raccontarvi come è finita la storia del Brunetti e della luna. Veramente. C’è una pagina di appunti, schemi, idee che lo conferma. Per ora sono impantanata in una cosa che ho iniziato e vorrei finire. Si tratta di un romanzo scapigliato (sì, nel senso letterale/letterario del termine) con una vena macabra mesmerica. Ho anche scritto un pezzo di un racconto fantasy-storico che non so bene che senso abbia (e ora sta ammuffendo da qualche parte e mi sa che lì resterà) e il primo capitolo di un qualcosa di fantascientifico. Però, però, però prima devo finire il copione dello spettacolo del mio gruppo di teatro. Ahimè qualche problemino di salute mi ha fatto fermare ai box e il lavoro ha fatto il resto. Spero sempre nell’effetto fenice. Senza ekpirosis, però. Perché stoicismo ok, ma masochismo anche no.
Grazie per il tuo intervento e in bocca al lupo per tutto.
(Daniele Picciuti)