Incontro con Giorgio Galeazzi: come scrivere un romanzo storico

Ciao e benvenuto nella rubrica Il gatto a nove code.
Pronto? Cominciamo.

1. Il concepimento.
D: Come sono nati Il segreto del tribuno e Il campo dei giganti?

R: Ho sempre desiderato scrivere storie ambientate nell’Antichità. Avevo già fatto qualche esperimento, ma si trattava di brevi episodi, niente più che quadretti costruiti a margine di grandi eventi storici per vedere se ero in grado di costruire personaggi e ambientazioni verosimili. Già allora mi ero accorto che la storia romana, con i suoi ampi orizzonti geografici e culturali, si prestava bene a moltissimi generi di narrativa, dal viaggio d’avventura alla storia d’amore fino al dramma politico. Poi un’estate, per migliorare un po’ l’inglese, mi sono letto qualche racconto di Arthur Conan Doyle in originale: erano stampati su dei bellissimi libriccini della Collector’s Library con la copertina in cartone rosso e il bordo delle pagine dorato. Avevo già letto diversi romanzi gialli, ma non mi consideravo affatto un lettore appassionato del genere. Quell’anno invece rimasi conquistato dalle finezze logiche di Sherlock Holmes e pensai che sarebbe stato bello ambientare tutta quella arguzia nel mondo antico. Così è nata l’idea de Il segreto del tribuno, anche se poi il protagonista, Marco Valerio, è un uomo molto diverso dal personaggio di Doyle. Il campo dei giganti è uno sviluppo a partire dal primo libro: l’ho scritto non solo per il gusto di inventare una nuova storia, ma anche per dare maggiore profondità biografica e psicologica a Marco Valerio e al suo affezionato servo, Tito.

2. La scrittura.
D: In che modo sei arrivato a dare ai romanzi la loro struttura definitiva?

R: Il segreto del tribuno l’ho scritto in circa nove mesi, in treno. Lavoravo lontano da casa e mi facevo tutti i giorni un’ora di treno all’andata e una al ritorno. La maggior parte degli episodi li ho scritti a penna su un quaderno che tenevo sulle ginocchia. La linea narrativa principale è sempre rimasta la stessa fin dall’inizio e, fondamentalmente, ruota intorno a una identità nascosta: si tratta di un espediente letterario molto produttivo, perché, più facilmente di altri, consente di costruire i necessari depistaggi per tenere il lettore ben lontano dalla soluzione fino all’ultimo. Alla prima stesura ho aggiunto poi due capitoli su suggerimento dell’editor (nella fattispecie è anche colui che fa le domande, n.d.r.), che mi aveva chiesto di inserire degli episodi che movimentassero un po’ la trama: così ho elaborato la sequenza del tumulto nell’accampamento e quella della battaglia tra Romani e Galli presso il fiume. Infine, grazie all’editing di Federica Maccioni, ho sistemato varie incongruenze e ho reso più scorrevole l’espressione, eliminando ripetizioni, pleonasmi e riempitivi inutili.
A scrivere Il campo dei giganti ci ho messo molto di più, perché intanto con il lavoro mi ero spostato vicino a casa e non avevo più a disposizione il tempo del viaggio in treno. Il grosso della vicenda l’ho scritto in due estati. A differenza del primo romanzo, Il campo dei giganti ha subito molti cambiamenti in corso d’opera, perché ho cominciato a scriverlo senza avere già in testa l’enigma e la sua soluzione. Mentre con Il segreto del tribuno sono partito dalla trama e poi ho elaborato i personaggi, con il secondo ho fatto il contrario: prima ho pensato all’ambientazione (il piccolo paese dei Salassi, che corrisponde all’odierna Valle d’Aosta), poi ho immaginato alcuni episodi slegati tra loro che potessero approfondire le personalità di Marco Valerio e Tito, infine ho dovuto pensare a una storia sufficientemente intrigante e che fosse adeguata al contesto e ai personaggi. Lo spunto mi è venuto dalla visita del sito archeologico megalitico di Saint Martin de Corléans, alle porte di Aosta: chi lo conosce e leggerà il libro, si accorgerà facilmente del nesso tra questo luogo e la vicenda narrata. L’enigma ne Il campo dei giganti è costruito intorno a un equivoco fatale: in questo caso il depistaggio del lettore avviene soprattutto attraverso il fraintendimento delle intenzioni dei personaggi. Trattandosi del secondo romanzo, avevo imparato meglio la lezione e le modifiche che ho apportato prima della pubblicazione sono state minime rispetto al manoscritto consegnato all’editore.

3. I personaggi.
D: Parlaci di come hai gestito i personaggi… o forse loro hanno gestito te?

R: Marco Valerio è il mio alter ego, nel senso che possiede alcune qualità che io desidero disperatamente e inutilmente di possedere. Costruire il suo personaggio non è stato molto difficile, mi è bastato chiedermi ogni volta: che cosa farei io in questa situazione, se fossi la persona che vorrei essere? Se, cioè, fossi intelligente, razionale e sensibile? Marco Valerio è un sapiens, nel senso socratico del termine: un uomo che identifica la felicità con l’esercizio della virtù, ossia con lo sforzo costante di dominare le passioni con la ragione per agire secondo giustizia. La sua scelta di risolvere gli enigmi in cui di volta in volta si imbatte risponde a questa impostazione di vita: di fronte all’ingiustizia di un delitto egli prova un profondo e incoercibile desiderio di ripristinare la giustizia, ma siccome le ragioni del delitto sono nascoste dalla menzogna, l’unico modo che ha per servire la giustizia è svelare questa menzogna attraverso il ragionamento. Il lettore si accorgerà che il personaggio di Marco Valerio è debitore verso molti famosi investigatori della letteratura britannica, che hanno agito su di me per lo più in modo involontario, per osmosi: ho già citato Sherlock Holmes, di cui Marco Valerio imita l’arguzia, il ferreo rigore logico e anche un certo compiacimento per le proprie doti; tuttavia, mentre l’interesse di Holmes si concentra sulla materia e lì si ferma, per Marco Valerio le circostanze materiali non sono che un passaggio necessario per arrivare al cuore della questione, che è sempre morale: in questo credo che sia più accostabile a un modello come padre Brown di G.K. Chesterton. Infine non poteva mancare Poirot: di lui credo che Marco Valerio abbia soprattutto quella femminile sensibilità per i deboli (anziani, bambini, donne) che Agatha Christie considerava probabilmente un tratto latino e che contribuisce a rendere Poirot così eccentrico rispetto alla società inglese, notoriamente un po’ freddina e individualista. Quanto al servo Tito, va da sé che sta a Marco Valerio come Watson sta a Holmes o come il capitano Hastings sta a Poirot: la sua solerte ingenuità serve soprattutto a far risaltare, per contrasto, la previdente saggezza del suo padrone. Nel caso di Tito, però, ci sono altre due cose da considerare: la condizione servile, che lo priva della libertà personale, mi dà modo di evidenziare un’altra virtù di Marco Valerio, l’umanità; inoltre, la giovane età pone Tito in un rapporto pedagogico e quindi più delicato e complesso con il suo padrone: non c’è solo obbedienza, ma anche affetto, ammirazione e desiderio di emulazione: credo che in questo Tito sia assimilabile ad Adso da Melk de Il nome della rosa, imprescindibile riferimento per chi, almeno in Italia, voglia cimentarsi nel romanzo storico.

4. Autocritica.
D: Se dovessi dare un giudizio al tuo romanzo da lettore, che giudizio sarebbe?

R: Il segreto del tribuno ha un buon intreccio, ma i personaggi possono apparire piatti, di maniera. Il campo dei giganti ha dei personaggi interessanti, ma la vicenda è molto complicata e, forse, al limite con l’inverosimile. Lo stile vuole riprodurre in lingua italiana le movenze del greco antico, che è la lingua in cui, nella finzione letteraria, Tito scrive: questo rende l’espressione non sempre scorrevole e a volte troppo forbita. Ma secondo me il gioco vale la candela, perché questa scelta stilistica dà maggiore verosimiglianza storica alla scrittura.

5. Il pubblico.
D: Hai avuto un riscontro critico da parte del pubblico?

R: L’opinione della mamma conta? Le recensioni scritte dagli acquirenti sulle piattaforme di distribuzione sono molto lusinghiere, anche troppo, ma è vero che chi apprezza un libro scrive più volentieri una recensione rispetto a chi non lo ha apprezzato. Ho riscontrato un certo interesse tra i miei colleghi insegnanti, alcuni dei quali ritengono i miei libri letture adatte agli studenti.

6. L’orrore.
D: Cos’è per te l’orrore?

R: Penso che l’orrore sia una particolare versione della paura: l’uomo ha paura quando pensa che qualcosa che non conosce gli possa far male, ha orrore quando suppone che questa cosa abbia un’origine soprannaturale o innaturale e che quindi sia del tutto sottratta a un suo possibile controllo. Il segreto del tribuno e Il campo dei giganti sono romanzi gialli, cioè storie in un cui si celebra la forza rischiaratrice della ragione umana: in essi c’è molta paura, ma poco orrore, però un po’ ce n’è, vi invito a trovarlo!

7. Le tue letture.
D: Quali sono i libri o gli autori che ti hanno formato come scrittore?

R: Ho già accennato ai detective novel inglesi e a Il nome della rosa di Umberto Eco: questi sono modelli quasi obbligati, credo, se si vuole scrivere un giallo storico. Ma dietro alle moderne convenzioni di genere c’è soprattutto l’influenza degli autori antichi, che sono il grande amore della mia vita e dai quali ho indegnamente preso spunto per questi divertissement: Senofonte e Cesare per le scene di battaglia, Erodoto per i viaggi e le descrizioni dei paesaggi, Sallustio e Seneca per le riflessioni morali, Cicerone per alcuni discorsi pubblici, Platone soprattutto per certi dialoghi tra Marco Valerio e Tito. Anche lo stile di scrittura, come accennavo prima, cerca faticosamente di riproporre l’equilibrio della prosa classica greco-latina.

8. Sconsigli da autore.
D: Hai capito bene. Quali sono i tuoi s-consigli per chi vorrebbe pubblicare per la prima volta?

R: Prima di mandare fuori il manoscritto, fatelo leggere a qualcuno: la fatica che metterete nel trovare una persona disposta, per niente, a leggerlo fino in fondo vi darà già una prima misura dell’interesse degli altri per la vostra scrittura. La seconda misura la prenderete dal commento di questa persona, a patto che riusciate a distinguere gli apprezzamenti di circostanza, fatti per non offendere, da quelli autentici.
Se siete alle prime armi, proponete cose brevi: non vedersi pubblicato un romanzo breve o un racconto è certamente una delusione, ma molto peggio è vedersi respinta una saga in tre volumi di tremila pagine l’uno, che magari vi è costata una vita di lavoro.
Se usate ambientazioni storiche, documentatevi meglio che potete: un lettore a cui piace questo genere di narrativa si aspetta di trovare dettagli verosimili, curiosi e interessanti ed è pronto ad abbandonare sdegnosamente la lettura nel caso di elementi anacronistici. Non si tratta solo di evitare errori grossolani, come ad esempio Giulio Cesare che, prima di dare l’ordine di attacco, consulta l’orologio da taschino, oppure Socrate che conversa amabilmente con i suoi allievi sorseggiando una tazza di tè (magari zuccherato). Bisogna anche andare in cerca di aspetti peculiari della vita, dell’organizzazione sociale, della mentalità, degli oggetti di uso quotidiano, inserendoli con naturalezza nella vicenda. A volte saranno comprensibili da sé, altre volte sarà necessario fornire indirettamente al lettore qualche spiegazione. Nei miei libri io lo faccio attraverso l’espediente della cornice narrativa: siccome Tito, che è il narratore interno, scrive le sue storie in forma di lettera all’amico greco Filandro, talvolta si sente in dovere di spiegare alcuni aspetti della cultura e dell’organizzazione romana che il destinatario non conosce; in questo modo è un po’ come parlare alla nuora (Filandro) perché la suocera (il lettore) intenda.
Infine, attenti alla grammatica! Non credo ci sia nulla di peggio per un esordiente che presentarsi con uno strafalcione nel manoscritto: sarebbe come presentarsi a un colloquio di lavoro in mutande.

9. E poi.
D: Quali sono i tuoi progetti futuri?

R: Di certo vorrei portare avanti il personaggio di Marco Valerio, perché mi sto troppo divertendo. Vorrei scrivere almeno un altro romanzo con lui: ho già in mente anche il luogo e il contesto, ma mi manca ancora un intreccio accattivante: magari l’estate porterà consiglio.
Poi vorrei cimentarmi con qualcosa di più propriamente horror, anche se per me è un terreno inesplorato. Sto buttando giù delle bozze di brevi racconti in cui la natura, da luogo idilliaco e accogliente, diventa qualcosa di ostile, inquietante e assassino. Vedremo se interesseranno a qualcuno.

Grazie per il tuo intervento e in bocca al lupo per tutto.

(Daniele Picciuti)