Sherlock Holmes e il morbo di Dracula, di Stephen Seitz
Sherlock Holmes. Razionalità, realismo, ironia. Sempre con l’inseparabile Watson, con il cappello col paraorecchi, con il suo tabacco. Il conte Dracula. Mistero, occulto, sensualità. Sempre con la terra dei Carpazi, con i vestiti neri, con donne esangui. Cosa li unirà, come si fronteggeranno, chi prevarrà?
Londra, 1890. Mina Murray non ha più notizie del suo promesso sposo, giovane avvocato in carriera, in viaggio di lavoro nei Carpazi tentando di concludere una vendita immobiliare con uno strano nobile del luogo. La sua speranza si chiama Sherlock Holmes. A lui si rivolge per provare a rintracciare il suo amato, le cui ultime notizie risalgono a una recente missiva che contiene, cifrata, una richiesta di aiuto. L’acuto investigatore e il fido dottor Watson partono immediatamente per il castello del Conte, attorno a cui si è creato un clima di terrore, che coinvolge gli abitanti dei dintorni. Pericolo o superstizione? I due inglesi, per scoprirlo, entreranno direttamente nel sinistro maniero di Dracula, dove la razionalità e l’approccio deduttivo di Holmes verranno messi in discussione da una serie di eventi misteriosi, apparentemente inspiegabili e molto, molto vampireschi.
Sono tendenzialmente contrario agli strani miscugli di due o più personaggi di provenienze diverse in una stessa storia. Inorridisco, con un po’ di presupponenza, davanti ai vari artificiosi incroci creati da menti più commerciali che creative. Pertanto, quando ho avuto in mano Scherlock Holmes e il morbo di Dracula, opera prima di Stephen Seitz, un moto di fastidio è inevitabilmente emerso.
All’inizio della lettura però, ho dovuto riconoscere che sia la pungente ironia molto british e la prospettiva razionalistica di Holmes, sia il pretesto romanzesco di interrelazione fra lui e Dracula tutto sommato plausibile, stavano rendendo la lettura insospettabilmente piacevole e divertente. Sembrava promettente soprattutto il preponderante taglio realistico di Holmes che tentava di dare una spiegazione scientifica e deduttiva a ogni evento apparentemente misterioso. Poi però, man mano, la vicenda è andata facendosi un po’ confusa, non del tutto lineare, comunque in equilibrio precario, in bilico tra la strada fantasioso-vampiresca del conte Vlad e quella logica e realistica dell’investigatore inglese. Trasmettendo la sensazione di un’occasione persa. Tanto più che il libro è un po’ appesantito dal filo narrativo, tenuto da un disorientatissimo Watson, alle prese tra l’altro con vicende familiari spezzacuore.
Degna di lode è invece la splendida idea di rendere il racconto falsamente veritiero, con tante note e riferimenti pseudoscientifici, che invece sono totalmente inventati. E colti, appropriati e pertinenti i riferimenti letterali a personaggi reali, dove Arthur Conan Doyle diventa l’editore di Watson, mentre John Polidori e Joseph Le Fanu sono i giustamente omaggiati inventori del genere. Tutto sommato un libro che, visto il talento pungente di Seitz, avrebbe potuto essere più incisivo.
(Giovanni Cattaneo)