Le megere, di Simone Lega
Una madre. Ma anche un’anima persa. Inabissata nel nero più cupo, al centro di un vortice che risucchia lei e i suoi legami.
L’apocalisse era in corso. Invece che avere le sembianze di giganteschi sommovimenti color fuoco, o sinistri funghi atomici, era portata dalle megere. Streghe classiche, che volteggiavano a cavallo delle loro scope per prendere tutto ciò che di vivo e umano trovavano. Sollevandolo, portandolo in cielo con loro e lasciandolo poi cadere a schiantarsi al suolo. Con voli che non lasciavano scampo. E tutto si era fermato, la civiltà si era fermata, la vita si era fermata. I pochi sopravvissuti stavano barricati nelle case, cercando di sopravvivere, sperando che non toccasse a loro. Carmine era uno di questi. Una moglie e due bambini da proteggere, qualche piccolo lavoro manuale per tentare di sfamarli. Fatto di corsa e correndo un pericolo enorme, quello di essere anche lui vittima delle megere, come ogni giorno accadeva a qualche suo compagno. Finché, tornando a casa, se ne vide una davanti. Entrata nella sua famiglia, entrata nel suo cuore. Pronta a dargli la fine più spietata e dolorosa.
Apparentemente nulla di nuovo in questo racconto di Simone Lega. Solite classiche streghe, stavolta in versione terminante, solito clima post-apocalittico, solita diffusione quasi morbosa del male, solito quadro familiare un po’ stereotipato. Ma un’atmosfera resa abissale, nerissima, con mirabile abilità. Che nel suo stile pulito e volutamente basico ricorda certi inquietanti punti di vista di bambini, frequenti nella bibliografia noir, che con immediatezza descrivono il male più inquietante. Ed è questo senz’altro il punto forte del racconto, riuscire a mostrare al lettore il “solito” nero ma con nitidezza maggiore, quasi fotografandolo con una nuova camera, a più alta risoluzione.
(Giovanni Cattaneo)