Fine dei giochi, di Alessio Gazzotti
Quando la fine è vicina. La si vede arrivare, guardandola negli occhi. La si aspetta, sereni, o forse rassegnati, consapevoli dell’inutilità di qualsiasi agire. Qualche volta sopraggiunge, ineluttabile. Se si è fortunati, capita invece che si fermi a un passo, davanti all’ultimo baluardo di carta velina. Che, non si sa come, resiste.
Ne Lo sbarco è vista con gli occhi di un soldato, che la vede arrivare dal mare, vomitata da navi che trasportano morte. Forse, la sua. In Atlantide arriva dagli elementi, che si scatenano nella loro potenza devastante. La fine può anche essere metaforica come in Cambio letto, o misteriosa e celeberrima, come quella di Van Gogh mirabilmente immaginata e descritta in Campo di grano. Le beffe del cuore possono essere letali più di qualsiasi arma, come salacemente dimostrato da Ascolta un amico; quelle della vita possono essere terribilmente struggenti, come poeticamente illustrato nella delicatissima Il giorno in cui tornammo a rivedere le stelle. Evitare di provocare una fine tragica, a qualsiasi costo, è l’obiettivo del protagonista di Giusto in tempo; celebrare un rituale secondo i corretti canoni quello dei sacerdoti che animano Le linee del sole. Invece Il messaggio e Tabulati saranno forieri di tragici equivoci, Punto d’impatto di nuovi, terribili, strumenti di morte. Non è meraviglioso? insegna che la fine, a volte, ce la provochiamo da soli.
Sprazzi di qualità, dispensati con un po’ di parsimonia caratterizzano Fine dei giochi, serie di racconti brevi ad opera di Alessio Gazzotti. Dove non mancano punte notevoli, dove sono evidenti la capacità dell’autore di toccare nel vivo il lettore. Autore che sfoggia una ecletticità mirabile, cambiando completamente stile a seconda delle ambientazioni proposte, tra le più diverse, e tutte credibilissime, da Atlantide prossima alla scomparsa ad un moderno Ikea. Che trova spunti ora fantasiosi, ora dolorosi, ora arguti e ironici. Purtroppo però, restano solo spunti, accenni, impressioni di una capacità che non si srotola completamente, non si cimenta in costruzioni ardite, limitandosi alla comoda forma di racconto breve, buone idee qua e là, un po’ slegate fra loro. Oltretutto in una confezione che, anch’essa, desta sensazione di poca cura, con impaginazioni approssimative e riletture superficiali.
Direi di considerare quest’opera come un promettente training, atto a sancire le indubbie capacità di Alessio Gazzotti, aspettandoci per il futuro qualcosa di più ampio respiro e ambizione.
(Giovanni Cattaneo)