Battuta di caccia, di Jussi Adler-Olsen
Copenaghen. Città perfetta. Grandi viali circondati da palazzi elegantissimi e regali, meravigliosi e immensi giardini a ogni angolo, aria limpida e gradevole, biciclette liete che la attraversano a frotte. Persone bellissime. Alti, magri, sorridenti, dalla pelle perennemente liscia e dagli occhi di topazio. Pulizia invidiabile, cordialità perenne, gioia di vivere. A Copenaghen nessuno si affanna. Tutti vivono lieti la loro esistenza, gli orari di lavoro e di scuola sono ristretti, comodi, al limite dell’oziosità, si ha tutto il tempo del mondo per godersi l’esistenza, correndo in un parco o veleggiando nell’Oresund. E organizzazione. Meticolosa, maniacale, per ogni aspetto del quotidiano. Dalla scuola, alla vita lavorativa. Perfino le smodatezze, le gioie sfrenate, sono incanalate. Tutto, troppo, ideale.
Ma c’è chi ha bisogno di brividi insani. Di vivere al limite. Di sentire l’odore del marcio, del sangue, della paura.
In questo bellissimo romanzo di Jussi Adler-Olsen, un gruppo di persone fra le più importanti del paese, ricche, influenti, trasponde le proprie pulsioni in estreme battute di caccia. Dove le prede sono le più difficili. Hanno origine comune, i cacciatori. Vengono tutti da un ricercato ed esclusivo college. Ora hanno tutti carriere luminose, ma sui loro anni scolastici aleggiano vicende oscure, sospetti di violenze mai denunciate, e lo spettro di un omicidio forse non del tutto spiegato. Quando il fascicolo del caso appare misteriosamente sulla scrivania di Carl Mork, della speciale sezione Q della polizia danese, questi riapre la vicenda, scoperchiando un passato la cui storia è totalmente da riscrivere.
Brividi, deliri, violenza estrema, conditi con una punta di ironia e con due gocce di lacrime sincere, sono gli ingredienti vincenti di questo lavoro. La resa è ottima, la tensione costante, le pagine, superato il primo scoglio dei nomi danesi che paiono tutti uguali, si divorano una dopo l’altra. Si fa apertamente il tifo per quei macchiettistici personaggi che arrivano quasi per sbaglio a colpire al cuore le anime nere della vicenda. Affascinante il disegno sociologico dei rapporti interni al gruppo dei “cacciatori”, una sorta di devoti di Arancia meccanica, dove sottili e intrecciati disequilibri mentali vanno a formare una macchina di violenza apparentemente perfetta, che autoespelle le parti non funzionali. Ma che inevitabilmente rischia di autodistruggersi.
Assolutamente da non perdere, gustandolo assieme a un aperitivo in una terrazza sul mare, sognando di essere seduto a un tavolino di Nyhavn. Sperando che l’afa non ci riporti in Italia. Almeno col pensiero.
(Giovanni Cattaneo)