Tra autobiografia e mistero: L’impiccato di Saint-Pholien di Georges Simenon

Nessuno si accorse di quello che succedeva. Nessuno sospettò che nella sala d’attesa della stazioncina ferroviaria, dove tra l’odore di caffè, birra e limonata solo sei passeggeri aspettavano il treno con aria abbattuta, si stesse svolgendo un dramma.

Vero. Così apre Simenon il suo Le pendu de Saint-Pholien, reso in italiano fedelmente come L’impiccato di Saint-Pholien (Adelphi), ma anche come Maigret e il viaggiatore di terza classe (Mondadori).

Quarto romanzo della serie risale al 1931, e Maigret, pure già personaggio poliziesco di successo, è all’inizio della sua storia. È un Maigret impiccione oltre misura, quello che segue un poveraccio scorto alla stazione di Neuschanz, nell’estremo Nord dell’Olanda, alla frontiera tedesca.

Una stazione senza importanza. Neuschanz può a malapena dirsi un paese. Non vi transita nessuna linea importante. Ci sono treni soltanto al mattino e alla sera, per gli operai tedeschi che, attirati dagli alti salari, lavorano nelle fabbriche dei Paesi Bassi.

Sarà, ma tanto basta a Maigret per incuriosirsi rispetto alla “sagoma di un uomo sulla trentina, con gli abiti logori, il viso smunto, mal rasato, e un cappello floscio, di un grigio indefinibile, che aveva forse girato tutta l’Europa. […] Aveva gli occhi febbricitanti, troppo infossati nelle orbite. Fumava tenendo la sigaretta incollata al labbro inferiore, e bastava questo piccolo particolare a esprimere stanchezza o sdegnosa noncuranza. […] Non era robusto. Le sue mani recavano però le stimmate del lavoro manuale. Le unghie erano nere, troppo lunghe, il che lasciava supporre che non lavorasse da un po’ di tempo. Il colorito rivelava l’anemia, se non la miseria.

Maigret lo inquadra, lo mette nel mirino, forse per curiosità, forse per consegnare un malvivente alla polizia. O forse perché, come spesso capita, nelle storie ci si finisce in mezzo senza averlo deciso. Gli sottrae una valigetta, nella quale trova un vestito logoro, senza nessun valore, scambiandola con un’altra, nella quale aveva ficcato vecchi giornali.

E così Maigret sarà la causa, e l’unico testimone, della fine del povero viaggiatore.

La serratura inquadrò il giovanotto accasciato su una sedia con la testa fra le mani. Quando si alzò, fece schioccare le dita con un gesto insieme rabbioso e fatalista. E fu la fine: estrasse di tasca una rivoltella, spalancò la bocca e premette il grilletto.

Il senso di colpa e, di nuovo, la curiosità, imporrà a Maigret un giro per l’Europa che lo porterà a Brema, Reims, Parigi e poi in Belgio, a Liegi. Conoscerà personaggi che sono legati da una storia comune, risalente a dieci anni prima. Una storia di ragazzate finite male, di esaltazioni, di anarchia, di arte, di alcool e di miseria; una storia dove, come sempre accade, si confrontano ricchi e poveri, fortunati e meschini.

Chi è Van Damme, il ricco intermediario di Brema, che più volte incrocia l’indagine di Maigret, e che prova addirittura a buttarlo nel fiume? E Maurice Belloir, il bancario di Reims dalla carriera spianata? E il fotografo, Jef Lombard, di Liegi, a cui è appena nata la terza figlia? E lo scultore, Gaston Janin? Che cosa sono tutti quei disegni di impiccati che si trovano a casa di Lombard? E cosa è la confraternita dell’Apocalisse che si riuniva in una soffitta di Liegi?

Le indagini fanno luce su ben tre morti, di cui due suicidi, che dipanano il loro destino in due lustri di storie di vita, in cui giovani studenti periscono, professionisti rampanti fanno carriera, e diversi bambini nascono. Proprio i bambini, i cinque bambini che giostrano nelle case e nelle famiglie di questa storia, saranno l’elemento che permetterà di fare giustizia a Maigret. Una giustizia tardiva ed imperfetta.

Simenon scrive Le Pendu presso la villa Gloaguen a Concarneau nell’autunno del 1930. Il romanzo vede le stampe nel febbraio successivo presso lo storico editore Fayard. In Italia uscirà la prima volta l’anno dopo per Mondadori nella collana “I libri neri. I romanzi polizieschi di Georges Simenon”.

Interessante la collocazione del romanzo nella natia Liegi, che Simenon lascerà, per Parigi, nel 1922, all’età di 19 anni, dopo aver scritto sulla Gazette de Liège firmando per tre anni i suoi articoli con lo pseudonimo di George Sim.
Storia chiaramente autobiografica: i protagonisti del romanzo sono ispirati a un gruppo di giovani, La Caque, che si riuniva in un appartamento al terzo piano di una palazzina di Liegi, in nome dell’arte e dell’alcool. Pare che Simenon abbia frequentato questo gruppo, sia pure saltuariamente. Qualcuno lo ritiene anche tra i fondatori della combriccola.
Uno dei membri della Caque pare sia stato effettivamente trovato impiccato davanti alla chiesa di Saint Pholien.

(Cristian Fabbi)