Pulp di Bukowski, tragedia e commedia del Giallo e della vita

We are talking about my life, here, you know?
(Charles Bukowski)

Quando uno scrittore affermato, diciamo mainstream, si improvvisa giallista, in genere i casi sono due: o scrive una boiata pazzesca, o scrive un’opera d’arte… gialla. Tertium non datur.
Ho riletto Pulp, di Charles Bukowski. Ho avuto l’opportunità (per caso e necessità) di rileggerlo in lingua.
Mi era piaciuto, quasi vent’anni fa, e mi è piaciuto ancora. Ho scelto di recensirlo in Bianco e nero, anche se il libro è più recente dei gialli dell’epoca dell’oro, perché è, a modo suo, un libro in… bianco e nero.
Pubblicato postumo, Pulp è l’ultimo romanzo dell’autore californiano. Rappresenta una rottura completa con la sua opera classica e al tempo stesso una coniugazione matura del suo scrivere. Ci sono infatti le parolacce, la down-and-out Los Angeles, l’alcool (tanto) e il sesso (pochissimo, per i suoi canoni), ci sono le scazzottate.
Ma Bukowski stupisce i suoi lettori perché ci mette anche una pistola, un detective (Nick Belane), dei clienti e, a modo suo, un plot da crime novel.
In realtà, si tratta di un pastiche, di un romanzo grottesco che ironizza, in modo dissacrante, sui topoi del genere Hard Boiled (Pulp, dal titolo, richiama il Pulp Magazine, la rivista di riferimento del genere creato da Chandler e Hammett).
Bukowski mette in croce un alter ego di Marlowe, facendolo girare come una trottola in una Los Angeles tutto sommato meno cupa di quella dell’autore di Lajolla, ma molto più surreale.
Proprio l’elemento surreale, quasi onirico, rende particolare il romanzo. Lady Death è la prima cliente di Belane, ma a lui si rivolgono anche misteriosi personaggi tra cui addirittura un’aliena.
La logica del romanzo non è particolarmente intricata. Le cose, al nostro Belane, accadono senza che lui si ingegni più di tanto. Anche di fronte agli eventi che gli vengono catapultati addosso, capita che lui rimanga inerte con un bicchiere di scotch in mano, impegnato più ad attaccar briga con i barfly di turno che a risolvere enigmi come quello della ricerca del Red Sparrow.
Non si è mai atteggiato a grande letterato, Bukowski. La dedica è “al brutto scrivere”, inteso come scrittura senza particolari vezzi artistici. In questo c’è qualcosa di comune tra l’autore e il giallo popolare. O forse tra il realismo americano (Bukowski ha un forte debito stilistico con Hemingway) e il giallo popolare. Del resto, recentemente, Connelly definisce l’autore uno sporco realista.
Eppure, questo non è scrivere brutto. È scrivere diretto. È cosa buona. E così, anche Bukowski diventa letterato. Grande letterato, a modo suo.
La detective story in Pulp diviene metafora, allegoria. In Pulp si ragiona del senso della vita e della morte. E della ricerca di questo senso, un po’ casuale, un po’ raffazzonata e dissacrante. Lo stesso Red Sparrow (il Passero Rosso, per allegoria, qualcosa di rosso che ti becchetta) che Belane deve trovare su commissione del suo miglior cliente richiama la leucemia che Bukowski stava combattendo durante la scrittura di questo romanzo. E la morte (Lady Death) è sempre vicina, come metafora e realtà.
Va detto che il romanzo è divertente, frizzante, energico, potente nella narrazione e a tratti comico nella sua drammaticità.
Per sciogliere il dilemma d’apertura di queste note, per me Pulp è un’opera d’arte. L’opera di Bukowski. Consigliato agli amanti del Giallo per ridere, seriamente, del nostro genere preferito, della vita e della morte.

(Cristian Fabbi)

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