Il parco dei mostri di Bomarzo

Tra le pendici dei Monti Cimini e l’ampia vallata del Tevere, a un’ora da Roma, troviamo un meraviglioso esempio di urbanistica medievale, che conserva a tutt’oggi gli stessi toni di allora: Bomarzo. Ma non è solo il centro storico a rappresentare una capsula del tempo giunta fino a noi. Ai suoi piedi, infatti, troviamo un’altra gemma architettonica, questa molto più misteriosa e forse anche più accattivante: il Parco dei mostri.

Commissionato dal principe Pier Francesco Orsini nel 1552, il parco non era un semplice spazio verde come tanti, ma qualcosa di molto insolito. L’invito immortalato in un’iscrizione del parco recita: «Voi che pel mondo gite errando vaghi di veder meraviglie alte et stupende venite qua, dove son facce horrende, elefanti, leoni, orchi et draghi.» Statue di creature mostruose, costruzioni assurde, figure enigmatiche danno infatti vita a un labirinto di simboli alchemici che hanno la capacità di risucchiare il visitatore in un mondo intriso di mistero.

L’orco

«A Bomarzo la finzione scenica è travolgente; l’osservatore non può contemplare perché vi è immerso, in un ingranaggio di sensazioni (…), capace di confondere le idee, di sopraffare emotivamente, di coinvolgere in un mondo onirico, assurdo, ludico e edonistico (…)» scriveva Bruno Zevi.

Scrostate, sbrecciate e ricoperte di licheni, a distanza di cinque secoli le sculture non solo hanno conservato il proprio fascino, ma col passare del tempo la loro forza evocativa è forse aumentata. Il genere del grotesque trova qui una delle sue massime esemplificazioni. «Tu ch’entri qua con mente parte a parte et dimmi poi se tante meraviglie sien fatte per inganno o pur per arte».
L’orco, che cambia espressione a seconda dell’incidenza della luce durante il giorno, è una delle figure più note del parco. La sua bocca sembra un passaggio attraverso il quale si accede a un mondo nascosto, sotterraneo. Le sue labbra sono incorniciate dal verso di Dante: «Ogni pensiero vola.»

La casa pendente

Non mancano nemmeno le costruzioni che sembrano sfidare la razionalità. La casa pendente, se da una parte sembra stare sprofondando nel terreno, al contempo pare anche voler mettere in discussione le nostre certezze.

L’elefante

Altra celeberrima statua è quella dell’elefante che immortala un episodio del nostro passato entrato a far parte della coscienza storica dell’Italia al punto da rappresentare quasi un elemento archetipale. Annibale, il grande condottiero cartaginese, procede inarrestabile, travolgendo con l’impeto del suo elefante un legionario romano, senza però distogliere lo sguardo dalle terre che intende conquistare.

Il parco ospita anche echi di divinità appartenenti al mare, come Poseidone e le sue sirene. Ma non sono solo queste le uniche figure marine a solcare le onde dell’immaginazione. Figlio di Oceano e Teticapace, Proteo, divinità della mitologia greca, era il servo di Poseidone, incaricato di custodire il gregge delle bestie marine. Nel parco lo vediamo emergere dal terreno come dal mare dell’inconscio umano. Proteo era anche un profeta capace di cambiare forma a suo piacimento. Proprio da questa sua capacità di mutare nelle apparenze deriva la parola proteiforme così come l’accezione proteo. Quest’ultima sta a indicare una persona che cambia spesso opinione come una bandiera al vento.

Proteo-Glauco

È la complicità dei diversi simboli che si mischiano fra loro, come l’orco che sembra invitare il visitatore a intraprendere un cammino alchemico all’interno della Terra Cava, a rendere ancora più affascinante il complesso architettonico. Si tratta di un posto che vale di sicuro la pena di visitare, lasciandosi catturare dalle atmosfere che riecheggiano con quegli elementi misteriosi che popolano l’immaginario collettivo di noi tutti.

(Roberto  Bommarito)