Il mostro di Loch Ness: l’ennesimo inganno svelato
Fu Alex Campbell, un giornalista part-time, a pubblicare il 2 maggio 1933 sull’Inverness Courir il primo articolo mai scritto sul mostro di Loch Ness. In risposta all’articolo, il Courir iniziò a ricevere diverse lettere da parte di persone che dichiaravano di aver visto il mostro nei pressi del lago oppure di aver sentito storie a riguardo. Nell’agosto dello stesso anno, l’inglese George Spincer sostenne di aver avvistato insieme alla moglie un mostro – che gli ricordava un drago o una creatura preistorica – attraversare la strada che portava al lago, con una preda stretta fra le fauci.
Si trattò di un evento mediatico che rapì l’attenzione della Scozia. Il 6 dicembre 1933, quando ormai la storia aveva già raggiunto una diffusione nazionale, il Daily Express pubblicò la prima foto del mostro acquatico, scattata da Hugh Gray. A questa seguì poi nel 1934 la famosa “Surgeon’s Photograph”, una foto sgranata in bianco e nero scattata da Robert Kenneth Wilson che ancora oggi salta subito alla mente ogni volta che si parla del mostro di Loch Ness. La foto sembrerebbe mostrare il collo di una creatura molto simile a un plesiosauro emergere dall’acqua. Diversi anni dopo, il 7 dicembre 1975, The Sunday Telegraph rivelò che la foto era in realtà un falso. Seguirono altre analisi, alcune anche molto recenti, che vorrebbero l’animale in questione essere in realtà un oggetto della grandezza non superiore ai 90 centimetri.
Alla “Surgeon’s Photograph” seguirono negli anni altre foto e filmati. Si sono altresì verificate alcune rilevazioni sonar, per lo più accidentali, come quella della barca da pesca Rival III che sembrò identificare un grosso oggetto in movimento alla profondità di 146 metri. Malgrado ciò, i rilevamenti del sonar non sono riusciti mai a confermare in modo convincente l’esistenza della creatura.
Nel 2011 emersero, però, delle fotografie diverse da tutte quelle che le avevano precedute. Le foto erano infatti incredibilmente chiare e sembravano mostrare il dorso inarcato di Nessie.
A scattarle fu un uomo di 62 anni di un paesino a nord della Scozia, George Edwards. L’uomo, che per mestiere traghettava i turisti sul lago, vendette le foto ai giornali. Foto che fecero il giro del mondo, rendendolo famoso.
Eppure, per il dispiacere di tutti i fan di Nessie, The Scotsman ha di recente svelato che anche queste foto – per ammissione dello stesso Edwards – siano in realtà un falso. L’ennesimo falso. La gobba, costituita di vetro resina, era stata di fatto ideata da Edwards allo scopo di girare un documentario.
In chiusura è necessario ricordare una cosa che spesso viene ignorata.
Una specie, qualsiasi essa sia, preistorica o meno, per poter sopravvivere milioni di anni necessita di un numero elevato di individui che garantiscano un “pool genetico”, ovvero un numero di differenze genetiche, abbastanza elevato.
Anche se Nessie fosse l’ultimo esemplare della sua specie, ciò non toglierebbe che per arrivare fino a noi la sua specie avrebbe comunque avuto bisogno di milioni di altri esemplari suoi simili. Genitori, nonni, bisnonni e così via. È difficile credere che una popolazione di mostri acquatici sia passata inosservata per migliaia di anni, dando vita solo a qualche sporadica testimonianza emersa in tempi relativamente recenti.
A conti fatti, quindi, l’esistenza di Nessie sembra più un fenomeno culturale che non zoologico.
(Roberto Bommarito)