Dead or Alive, di William Harms
William Harms
Dead Or Alive
Createspace, 2011
William Harms è di sicuro un artista eclettico. Oltre che scrittore, è anche autore di fumetti di successo (stiamo parlando della Marvel, ragazzi), nonché ideatore di numerosi videogiochi, tra i quali lo spin-off di Dead Island e l’acclamato Infamous. È quindi con grande curiosità che mi sono avvicinato a questo Dear Or Alive, romanzo ambientato nell’Arizona sul finire dell’Ottocento. Come avrete immaginato, ci troviamo in un’epidemia zombesca (a dire il vero in questo caso molto circoscritta) nel periodo western. L’idea mi stuzzicava molto ma l’esecuzione è riuscita a lasciarmi l’amaro in bocca a causa di varie pecche presenti nella narrazione.
Prima di tutto, l’editing. Il romanzo in questione è così pieno di ripetizioni che a volte è difficile seguire la storia. Il lettore in alcuni punti viene letteralmente bombardato dallo stesso termine, utilizzato anche sei o sette volte nella stessa pagina.
In secondo luogo, i personaggi. Mentre i due protagonisti sono tratteggiati piuttosto bene, gli altri vengono lasciati troppo in ombra, anche quando dovrebbero avere un ruolo più di spicco. L’effetto è che la loro dipartita o il loro successo non colpisce più di tanto il lettore.
Questo è davvero un peccato, perché l’idea alla base del libro era davvero buona: due fratelli, dopo l’ennesima occasione di lavoro fallimentare, decidono di assalire una diligenza che viaggia nel deserto. Il colpo ha successo, ma, nel corso della notte, uno dei cavalli si introduce in un circolo maledetto, creato da una tribù di indiani. L’animale si ammala e quando i due si rifugiano a Jackson, ecco che il morbo si spande. Nel frattempo, vengono trovati colpevoli del furto e quindi messi in prigione, costringendoli a battersi per la propria libertà e la propria vita.
John e Paul sono ben descritti, nelle rispettive velleità e caratteristiche. Quando i morti cominciano a mordere, il ritmo si fa ancora più concitato e l’atmosfera horror si fa strada nel romanzo sebbene, devo ammettere, anche la sola parte western era molto buona. A tal proposito, mi è piaciuta anche la variante degli zombie semi intelligenti e, di conseguenza, parlanti.
Ottimo l’assalto finale al fortino, molto epico e cinematografico, con centinaia di zombie fatti a pezzi dalla Gatling. Nonostante di solito non apprezzi gli spiegoni, riconosco che quello fornito dall’unico soldato del forte è ben riuscito e aiuta a creare atmosfera dopo pagine e pagine di sparatorie.
Un lavoro discreto che avrebbe potuto essere qualcosa in più: era davvero un’ottima occasione, colta solo in parte, per coniugare zombie e cowboy. Consigliata agli amanti di entrambi i generi.
Tre revolver.
(Mauro Saracino)