Il Femminicidio in Italia tra fenomeno mediatico e realtà

Oggi, 25 novembre, è La Giornata Mondiale Contro la Violenza sulle Donne, istituita dall’O.N.U. nel 1999. In molte sedi – quelle istituzionali, nei social network e nei media – si discuterà con poche varianti sullo stesso tema: “stop al femminicidio!”.

In passato abbiamo già riportato la definizione di femminicidio come l’omicidio di “una donna in quanto donna”, e trattato l’argomento sul secondo numero di Knife.  Non abbiamo mai parlato però di chi rifiuta una forma di omicidio creata ad hoc, anche se è già stato fatto per altre tipologie legate a caratteristiche specifiche della vittima – per esempio uxoricidio e infanticidio e stanno sorgendo comitati per l’introduzione del reato di “omicidio stradale”.

Il discorso sarebbe lungo e lo affronteremo in futuro. Oggi vogliamo soffermarci sui dati reali delle donne assassinate.

Come valore assoluto negli ultimi trent’anni in Italia si uccide sempre di meno; in proporzione però è diminuito in modo più rilevante il numero di uomini assassinati rispetto a quello delle donne uccise. Chi ritiene che il femminicidio sia un’emergenza italiana, evidenzia quest’ultimo dato; chi sostiene invece che sia un’invenzione mediatica, considera solo la diminuzione dei delitti in assoluto.

Chi ha ragione? Tutti e nessuno: il problema delle statistiche è che possono essere interpretate in modo differente e gli stessi dati spesso dimostrano – o confutano – teorie opposte.

Conclusione? si dovrebbe parlare meno dei casi di donne assassinate – ma soffermarsi sui particolari macabri e scabrosi alza l’indignazione e l’audience, perciò è una vana speranza – e concentrarsi su quello che viene definito il “femminicidio dell’anima”: ogni forma di violenza e discriminazione verso la donna, cominciando dall’immagine proposta dai media che la vogliono o oggetto sessuale sempre disponibile a soddisfare i desideri maschili  o Santa Casalinga Asessuata. Possibilmente un mix esplosivo dei due, ma sempre uno stereotipo che ha ben poco a vedere con la realtà.

Nei paesi di tradizione anglosassone si sono fatti molti passi avanti in questo senso, magari con qualche, per alcuni, esagerazione: recentemente molti italiani hanno accusato di bigottismo chi ha criticato la camicia sessista – di sicuro almeno di cattivo gusto – dello scienziato che ha fatto atterrare la sonda su Rosetta. Da noi però il pubblico può decidere come (s)vestire una soubrette come fosse una Barbie: esiste infatti un sondaggio online che permette di scegliere il vestito che Ilary Blasi indosserà nella  puntata successiva della nota trasmissione Le Iene. Si passa da un eccesso all’altro, certo, ma quale dei due è più vicino alla parità tra i sessi?

In Italia, più che creare allarme sociale e introdurre leggi emergenziali e più punitive sul fenomeno del femminicidio e dello stalking, si dovrebbe ri-creare una cultura basata sulla parità di genere, una in cui la donna non sia costretta ad accettare, consapevolmente o passivamente, l’oggettivazione di sé. Piuttosto che promuovere vademecum per insegnare alle donne come evitare le occasioni che potrebbero metterle a rischio di essere molestate, si dovrebbero educare gli uomini a non stuprare, più banalmente a non credere di avere diritto di possesso e controllo sulle donne. Compagne, ex compagne, amiche o sconosciute che siano. Quando poi non le uccidono perché vogliono farsi una vita con un’altra o non accettano che siano loro ad andarsene.

C’è ancora molta strada da fare, ma ognuno si può adoperare in vari modi. La redazione di Nero Cafè vi invita a far girare sui social network l’immagine sopra e il nostro mantra con l’hashtag #ViolenzaSulleDonne, affinché diventino virali.
Basta con il raptus: Non è amore non è sesso, ma bisogno di possesso! 

(Biancamaria Massaro)