Negli occhi dell’assassino, di Belinda Bauer

Titolo: Negli occhi dell’assassino
Autore: Belinda Bauer
Editore: Marsilio
Anno: 2014
Prezzo: 18,50 euro

Sinossi.
Abbarbicato su colline colme di neve e sempre più isolato dal resto del mondo, il villaggio di Shipcott è scosso dalla morte di una donna paralizzata che qualcuno ha soffocato nel suo letto. Per Jonas Holly, il bobby della zona alle prese con il suo primo caso di omicidio, non ci sono tracce da seguire. Com’è possibile che un assassino si aggiri inosservato per quelle strade dove tutti si conoscono e uccida indisturbato? L’arrivo dell’ispettore capo John Marvel con la sua squadra omicidi e la sua arroganza di poliziotto di città rischia oltretutto di sottrargli ogni incarico, relegandolo a mansioni ridicole. E per di più, nel villaggio c’è qualcuno che si prende gioco di lui, qualcuno che sembra conoscere ogni sua mossa e lo minaccia, accusandolo di non essere capace di fare il suo lavoro. In quelle vallate che racchiudono storie nascoste e segreti dimenticati, l’assassino colpisce ancora. Di nuovo persone inermi. E Jonas, sempre più preoccupato per la moglie malata, potenziale prossima vittima, continua la sua caccia disperata a un’ombra inafferrabile. Fino a quando capisce che forse il lavoro che ci si aspetta da lui non è quello di trovare l’assassino.

La recensione di Nero Cafè.

«Ho bisogno di sapere… ho bisogno di sapere cos’hai visto negli occhi di un assassino».
«Niente! Non si vede niente».

La seconda di copertina, ben scritta, offre al lettore una visione ampia e chiara su ciò che lo aspetterà una volta che deciderà di immergersi nel secondo e ultimo romanzo della Bauer (il primo è Blacklands, edito anch’esso da Marsilio nel 2011).
Quello che la sinossi non dice è anche quello che forse colpisce più di ogni altra cosa: il silenzio.
I thrilleroni americani a cui ci hanno abituato sono ambientati in grandi città, si snodano tra grandi strade, grandi parchi, grandi macchine, grandi centrali di polizia, grandi incarichi e grandi rumori. Il rumore delle auto, delle voci che si sovrappongono, delle imprecazioni, degli spari, di pneumatici che slittano su asfalti piovosi o riarsi dal sole, di scarponi tattici che prendono il volo per acciuffare, ancora una volta, l’omicida.
Questo romanzo è invece totale assenza di rumore.
Un’assenza che rilassa ma insospettisce, che culla ma che fa tendere le orecchie.
E, mentre la neve cade, le morti aumentano e la paura dilaga.
È la paura strisciante e incredula di chi non ha idea di cosa significhi chiudersi dentro casa la sera o sospettare del proprio vicino o del proprio amico d’infanzia.
È la paura di chi ha sempre avuto fiducia.
È la paura di chi è solo.
È la paura di chi, mentre la tormenta infuria, stempera pensieri e ricordi nell’alcool.
È la paura del fallimento.
È la paura di Jonas Holly ma anche dell’ispettore Marvel.
È la paura di chi, invece di urlare, avvicina le ginocchia alla fronte, chiude gli occhi e prega che tutto finisca presto.
La neve cade e sentiamo il ghiaccio scricchiolare nell’aria attorno a noi, il freddo stringere le giunture in una morsa, le gambe affondare fino alle ginocchia nella coltre bianca e farinosa.
Sentiamo Lucy, la moglie di Jonas Holly. La frustrazione della malattia, il dolore, la rabbia, l’amore, la determinazione, il bisogno, la stanchezza di vivere.
E pare che tutto si svolga al rallentatore, quasi in bianco e nero, quasi senza audio, come se osservassimo ciò che accade dietro a un vetro smerigliato o vagamente sporco.
Più ancora del colpo di scena finale (purtroppo piuttosto scontato), quindi, ciò che colpisce di questo ultimo thriller psicologico della Bauer, è la grande potenza evocativa.

(Caterina Bovoli)