Border – Confine, di Grazia Bomba
Titolo: Border – Confine
Autore: Grazia Bomba
Editore: Enzo Delfino Editore
Anno: 2015
Pagine: 235
Prezzo: 4,99 euro in formato digitale
Sinossi.
Italia, pieni anni Settanta.
Gioia, affascinante figlia di un politico di spicco, è un’adolescente in guerra con la falsità e il moralismo che impregnano la sua famiglia e buona parte del suo entourage. Confonde a volte libertinaggio e libertà, arroganza e conoscenza, ma non aver perso la sua ingenuità le costerà la vita.
Aradia ha scelto di entrare in polizia, dove ha un ruolo di ispettore capo. Scelta non facile, frutto di un conflitto di identità irrisolto con una famiglia un tantino bizzarra. Indagare sulla vittima la riporterà a casa, “sottorete, lì dove succede tutto” e a iniziare un percorso di rivalutazione della propria esistenza. Finirà per capire che è solo ai confini, dove le regole sono aleatorie e sospese, che si può ritrovare se stessi.
La recensione di Nero Cafè.
“Se un contrabbandiere può tenere a stipendio i colleghi della finanza, immagina cosa può fare un politico, un industriale, uno stato… Può avere chiunque al suo servizio.”
“Certo, ci ho pensato. E non è solo una questione di soldi. Il peggio è quella fratellanza, quella complicità gratuita dello stato e di chi ci gira attorno, che tutto perdona.”
Ho quasi 34 anni. Se fate due calcoli scoprirete ben presto che sono figlia dei rutilanti e scoppiettanti anni ’80, e questo significa che, sempre di fatto, degli anni ’80 non ricordo praticamente nulla perché ero troppo piccola per poter ora dissertare di quel decennio. Ricordo vagamente molte torte di Mars, tante spalline nelle giacche femminili, tanta lacca sui capelli, i paninari, i grandi orecchini a cerchio, le musicassette, i primi film horror che avrebbero poi aperto la strada a quelli moderni, Ritorno al futuro (!!!) e un’Italia che, tutto sommato, “girava bene”. Ogni decennio si è distinto per qualcosa in particolare e, se gli anni ’80 mi riportano quasi subito a un’idea di benessere diffuso, in questo romanzo, anche chi, come me, degli anni ’70 non sa assolutamente niente, può farsi un’idea di cosa invece abbia caratterizzato quel periodo. Siamo nel Nord Italia e lei è Gioia. Siamo nel Nord Italia, e l’altra è Aradia. Gioia è bella, giovane, spregiudicata, aggressiva, sessualmente molto disponibile. Purtroppo, è anche molto morta. A occuparsi del caso è Aradia, una donna secca, nervosa, chiusa. Pochissimo ci è dato sapere della sua vita privata, dunque non possiamo che seguire i suoi processi mentali e cercare di conoscerla lungo il lento e angoscioso dipanarsi delle indagini. A capitoli alternati e su piani temporali diversi (giugno e settembre 1975) ci troviamo alle calcagna di Gioia e della sua discutibile vita amorosa e sessuale infarcita di loschi figuri e dietro le spalle di Aradia, che si troverà a far luce, suo malgrado, su fatti, azioni ed essere umani che rischiano di rovinarle l’esistenza.
Si parla di soldi, di politica, delle beghe del dopoguerra, di un’Italia che tenta di rialzarsi ma che (non è sempre così?) viene schiacciata e messa a tacere da una politica trafficona e sguaiata e da una sete di potere che non è giusta determinazione, non è banale arrivismo, ma diventa reale e premeditata violenza.
Tantissimi i dialoghi, in questo romanzo. Che se da una parte sicuramente accompagnano, snelliscono e facilitano la lettura, dall’altra rappresentano un enorme rischio: costruire un dialogo che sia agile ma anche realistico è una sfida titanica, in letteratura. In questo caso, qualche scivolone c’è. Non fosse altro che per il continuo turpiloquio di Gioia, i termini “dialettali” usati qui e là (comunque il più delle volte comprensibili), lo slang giovanile anni ’70 del quale non avrei sentito la mancanza e i toni continuamente irati, scattosi e talvolta palesemente maleducati dei protagonisti.
Una prosa scorrevole e temi, purtroppo, sempre attuali, in un bel giallo classico ambientato in quella che, qualche anno dopo, diventerà la Milano da bere.
(Caterina Bovoli)