Powerwolf: oltre il sacro e il profano

I Powerwolf devono essere nati in una notte di luna piena, quando in una chiesa sconsacrata illuminata solo da candele qualcuno, provando ad evocare un demone, disegnò un pentacolo in modo sbagliato.
Non trovo altra spiegazione “razionale” alla commistione di suggestioni e sonorità a cui questo quintetto tedesco ha dato vita partendo dal piccolo e crescendo di popolarità fino a diventare una delle band di punta della Napalm Records (tra le più famose case discografiche in ambito metal).
Il loro Heavy/Power Metal è imponente come un cavaliere in armatura completa, ma sotto gli strati di metallo incrostato di sangue secco si nasconde un prete esorcista, che non disdegna di sedersi all’organo per diffondere sinfonie clericali tra le navate affrescate con dipinti di santi e lupi mannari.
Già, perché parlando dei Powerwolf, dimenticavo di dire che nella notte in cui sono nati, doveva sicuramente aggirarsi nei paraggi anche un lupo, uno di quelli grossi e malefici, uno di quelli il cui morso può dannarti per l’eternità. Una bestia di quelle uscite dritte dai racconti del folklore più neri e arcani. Come mai? Beh, i mannari, soprattutto se provenienti dall’est Europa, sono presenti ovunque nei testi delle loro canzoni. Nel corso degli anni, e dopo ben sette album ufficiali, i Powerwolf hanno intessuto, canzone dopo canzone, una bizzarra mitologia oscura fatta di demoni, fantasmi, vampiri e di una personalissima versione dei lupi mannari. Re-immaginati come soldati oscuri, talvolta di fede evangelista, pronti a sfidare orde di creature infernali a colpi di crocifissi e invocazioni sacre.
I Powerwolf sono soliti prendere le liturgie della chiesa, sfruttandone il potere evocativ – la stessa soggezione che può evocare una maestosa cattedrale – mischiandole con antiche leggende europee o facendo della becera ironia. La canzone Resurrection by Erection ne è un esempio oppure Coleus Sanctus, che potrebbe essere tradotto più o meno come “Sante Palle”. Un’altra peculiarità è quella di recitare, in un latino improvvisato, pezzi di preghiere o formule rituali accostandole a espressioni prese dalla loro “mitologia” (Il termine “Sanctus Lupus”, ad esempio, non credo appaia in nessuna preghiera ufficiale). D’altronde il titolo del loro secondo album, Lupus Dei, è proprio l’emblema di questa stramba commistione.
Facendo un paragone azzardato, potremmo accostare questo tipo di visione al personaggio dei fumetti DC Constantine. Cosa c’è di più metal di un prete esorcista che impreca, fuma e prende a pugni i demoni? I Powerwolf hanno fatto la stessa cosa, accostando santi e martiri alla caccia dei lupi mannari, alla lotta contro le forze del male, e al soprannaturale, dando vita a una sorta di attitudine post-goth, una nuova incarnazione in grado di smettere di piangersi addosso per farsi una grassa risata in faccia al demonio.
In alcune canzoni, prendendo alla lettera i testi, possono sembrare fanatici religiosi (Raise your fist Evangelist), in altre possono sembrare satanisti o prendersi gioco del satanismo (Saturday Satan, Saint Satan), in altre esasperano la passione per il metal trattandolo come se fosse una vera e propria religione. Difficile incasellarli se non alla luce del fatto che prendersi sul serio non è una cosa che sono intenzionati a fare.
Anche se, guardando il loro aspetto truce, ci si potrebbe immaginare il contrario, ogni dubbio viene dissipato ascoltando un brano come All you can Bleed. È possibile rendere solenne una canzone con questo titolo? Ebbene, sì. Prendete la voce da tenore di Attila Dorn, chitarre elettriche cavalcanti accompagnate dal suono cristallino della tastiera settata su organo e fate esplodere il tutto in un ritornello fatto per essere cantato da folle osannanti. Il successo è assicurato.
Volendo fare i difficili, se proprio fossimo costretti a trovare un difetto a questa band, sarebbe senz’altro la ripetitività. Sfornando un album dopo l’altro senza discostarsi mai troppo dal proprio sound, il rischio dell’autoplagio è elevatissimo. Difatti sono presenti diversi brani che si richiamano l’un l’altro, ma un po’ come succede per band come gli AC/DC, se vi piace ciò che ascoltate non vi annoierete mai della formula classica sebben riproposta con variazioni minime.
Senza contare che i nostri, nell’ultimo disco pubblicato, ovvero The Sacrament of Sin, hanno tentato effettivamente di dare nuovo lustro al loro metal inserendo tocchi più pop come in Demons Are a Girl’s Best Friend o sonorità folkeggianti come in Incense and Iron (tirando fuori uno dei brani migliori dell’intera discografia), rimanendo al contempo perfettamente coerenti con la loro proposta.
In conclusione non ci resta che attendere la loro ultima fatica, Call Of The Wild, in uscita quest’estate, e nel frattempo ululare alla luna.

(Daniele Tredici)