Vita di strada, di Luigi Locatelli
Racconto vincitore della XVI Edizione di Minuti Contati, Seconda Era.
Ovidiu mi ha parlato bene di questo posto, mi ha detto che una volta è riuscito a portare a casa quasi venticinque euro in sole quattro ore. Me lo ha indicato consegnandomi addirittura le istruzioni per l’uso:
Aspetti che qualcuno carichi la spesa nel bagagliaio della macchina, mi raccomando, aspetta che siano quasi alla fine oppure li infastidirai e ti manderanno a cagare. Poi ti offri di portare il carrello a posto e tu in cambio ti tieni la moneta: un euro tondo tondo a botta. Se ti va di culo anche due…
Non sono mai stato molto fortunato, forse è questo il problema. Non capisco dove sbaglio, eppure sembra così facile!
Nascondo le mani in tasca alla ricerca di un po’ di calore, mi ritrovo ad accarezzare due euro. Posso a mala pena permettermi di comprare il biglietto per tornare a Brescia, se non venivo era meglio. Ho fame e comincia a fare freddo. Mi servirebbe del vino economico, se solo riuscissi a mettere le mani su un altro carretto…
«Hey Marius, esti tu?» un ragazzo, in jeans e felpa blu, sorride poco distante da me. Agita una mano. Ricaccio il magro bottino in tasca e provo a mettere a fuoco quel volto che mi dice poco.
Si avvicina, il giallo dei denti risalta all’interno di una fitta cornice di barba nera. Ancora non riesco a capire chi sia. Continua a ridere. Mi ha raggiunto.
«Allora Marius, che ci fai qui nel parcheggio dell’Auchan?» mi dice battendomi con forza la mano sulla spalla. Mi fa male. Questa volta mi parla in italiano.
«Scusa, ma ci conosciamo?» gli domando. Sono disorientato.
«Ma come, non mi riconosci? Sono Richard, il fratello di Larissa» mi dice abbracciandomi.
«Quanto tempo che è passato, ce faci?»
Ora ricordo. Larissa è stata la mia fidanzata quando avevo vent’anni. Lui ne aveva poco meno di otto quando ci siamo lasciati. Mi amava come il padre che non ha mai conosciuto. E io mi sono reso conto che, alla fine, volevo più bene a lui che a sua sorella: quella brutta puttana.
«Bine…» gli dico «tu ce faci?»
«Bine, bine» mi risponde «sto andando a fare la spesa, vieni con me?»
«Non ho molti soldi con me».
«Non ti preoccupare, ci penso io».
Sono teso, non ho mai rubato in vita mia. Richard mi ha assicurato che non dobbiamo fare altro che uscire dall’uscita senza acquisti e fare finta di niente. Non ci sono controlli. Lui lo ha fatto altre volte. Sento il freddo della bottiglia che preme sulla pelle, schiacciato dalla cintura. Non sono per niente tranquillo. Manca poco. Un ragazzo dai capelli rasati aspetta vicino a dove dobbiamo passare noi. È vestito con una maglia blu scuro e dei pantaloni della stessa tinta. Chiude all’interno di sacchetti di plastica borse e zaini di chi entra: sembra non guardare nemmeno chi esce.
Richard è davanti a me che cammina con passo sicuro. Mi ha detto che se qualche cosa dovesse andare storto, devo correre. È il momento. Si ferma un attimo e mi guarda, mi fa l’occhiolino e riparte. Al suo passaggio un suono intermittente richiama l’attenzione dei presenti. Richard scappa via seguito da testa rasata. Non li vedo più, l’allarme smette il suo richiamo. Mi sembra di essere in un incubo, non so cosa fare. Voglio solo andarmene. Lo faccio. Al mio passaggio ricomincia il suono seguito da luci arancioni intermittenti. Cerco di scappare. Non ne ho il tempo, mi immobilizzano in due.
Mi hanno rinchiuso in uno stanzino. Non lo so da quanto tempo sono qui. So che comunque c’è un bel caldo e si sta bene. Alla fine hanno preso solo me. Poco male, ho avuto modo di pensare a quello che è accaduto. Sono stato preso mentre rubavo e la punizione può essere solo una, la prigione. Qualche mese probabilmente. Abbastanza per passare l’inverno in un luogo sicuro. Quello di cui avevo bisogno. Quasi non riesco a crederci…
La porta si apre, entra uno dei ragazzi che mi hanno catturato. Sorrido e allungo le mani in avanti. Pregusto la mia ricompensa.
«Sei libero» mi dice «il direttore ha deciso di non sporgere denuncia, si stato fortunato questa volta».