Elfo dei boschi, di Maurizio Bertino
Ascolto il fiume, lo scorrere dell’acqua. Osservo gli alberi e i loro rami mossi dal vento. Chiudo gli occhi e percepisco la vita intorno a me, lo scorrere del tempo come un flusso sempre mutevole eppure determinato, artistico, ben diverso dall’anonimo ticchettio degli orologi degli umani.
Sono un elfo dei boschi e fra poco dovrò combattere: sono arrivati.
Mi inginocchio, estraggo una freccia dalla faretra. Sono calmo, posso sentire il lento battere del mio cuore, sto facendo la cosa giusta. Incocco la freccia e tendo l’arco, sono pronto. Chiudo gli occhi ancora per un secondo, mi concentro sul cinguettio degli uccelli, sorrido, la pace prima della battaglia.
Ecco le urla, avranno trovato i loro compagni e ora si staranno disperando, maledetti. Gli ho lasciato un bello spettacolo, mi sono divertito con quei corpi, ho avuto tutto il tempo che volevo. Quanti saranno? Sento due, forse tre voci: ho frecce a sufficienza per tutti. L’adrenalina sta montando, i muscoli sono tesi, difenderò il mio mondo, i miei ideali, la mia razza, sono disposto a tutto.
Sento dei passi, si stanno avvicinando. Mi stanno chiamando, credo. Marco! Marco! Ancora non hanno capito. Eccoli, vicini. Stanno salendo le scale. La porta si apre.
– Marco! – Lui è di fronte a me, mi sta guardando, vede l’arco, s’immobilizza. Mi alzo, glielo punto contro. – Cosa stai facendo? Ci hanno chiamato i vicini. I tuoi genitori… Sei stato tu? – Gli sorrido, mi avvicino, scocco la freccia e lo colpisco in piena fronte. Non emette un gemito, crolla a terra.
Altri passi, altro umano.
– Marco, cos’hai fatto? – Non faccio a tempo a prendere una nuova freccia che mi ritrovo a terra, mi sta martellando di pugni. – Era tuo cugino! Mio figlio! Che hai fatto?
Estraggo il coltello dalla cintura in pelle e lo pugnalo all’altezza del fegato, ruoto la lama, il sangue m’inonda. Le sue urla si tramutano in un gorgoglio, lo spingo a lato e mi alzo. Mi duole la testa, mi sento tramortito. Mi guardo intorno, la fontana che i mie genitori hanno comprato all’Ikea, i bonsai che piacevano tanto a mia madre. Mi fa male la testa. Il lavoro, i soldi, un mondo di merda, bamboccioni e surrogati, sono confuso.
Sirene. Mi affaccio al balcone del mio palazzo: macchine della polizia, poliziotti che mi stanno puntando contro le pistole.
Ora ricordo, sono il re delle aquile, devo volare via, lontano. Chiudo gli occhi e apro le ali, il vento mi scompiglia le piume. Sorrido e spicco il volo.