Villmark Asylum: la clinica “dell’insensato” orrore
Titolo: Villmark Asylum – La clinica dell’orrore
Regia: Bryan Fuller
Genere: thriller, horror, drammatico
Anno: 2013-2015
Attori: Anders Baasmo Christiansen (Ole); Ellen Dorrit Petersen (Live); Mads Sjøgård Pettersen (Even); Baard Owe (Karl); Tomas Norström (Frank)
Trama
Una vecchia casa di cura si sta deteriorando in un bosco isolato che si trova tra le montagne. Il vecchio custode vive ancora lì per impedire a chiunque l’accesso al pericoloso edificio. Cinque lavoratori a contratto hanno ricevuto il compito di setacciare l’edificio per la presenza di rifiuti pericolosi prima che venga demolito. Oltre trecento camere e chilometri di condotti devono essere controllati in tre giorni. Quando vengono a sapere dello spaventoso passato dell’edificio, si rendono conto che quell’incarico è qualcosa di più della semplice ricerca di amianto e mercurio. La fuoriuscita d’acqua dai vecchi tubi porta il lavoro a una battuta d’arresto. Nel tentativo di fermare la fuoriuscita d’acqua arrivano a una buia cantina, dove scoprono gli orribili segreti del passato della casa di cura. È possibile demolire un edificio, ma non rimuovere il suo passato.
La recensione di Nero Cafè
Okay. Dovevo capirlo già dal titolo come sarebbe finita, ma no, ho voluto rischiare.
Partiamo col dire che questo “meraviglioso” film è il secondo titolo della saga Villmark, ma il primo (per fortuna!) non è mai arrivato in Italia.
Iniziamo dalle cose belle (che sono poche).
La regia è buona e ci sono delle inquadrature davvero graziose, i cambi di scena e gli stacchi improvvisi sono interessanti e creano un’atmosfera adatta. Valida anche l’ambientazione, molto sfruttata, ma ben resa: ambienti nudi e luci crude, enfatizzati da una fotografia irreale ma comunque piacevole. Ho trovato anche molto gradevole la colonna sonora e un doppiaggio accettabile.
Bene, ora passiamo alle cose brutte, ovvero a tutto il resto, a partire da una trama che, sul serio, non esiste. Dopo un’ora e mezza di film ho visto scorrere i titoli di coda e non ho capito assolutamente un piffero. Perché sono successe quelle cose? C’è un motivo? Chi è quella gente che abita ancora in un sanatorio abbandonato nel 1978? Cosa ci fanno lì? Sono persone o entità strane? Come fanno a possedere delle apparecchiature moderne? Come fa a esserci ancora la corrente? Perché sono ridotte in quelle condizioni? Ma, soprattutto, come fa un edificio in rovina a essere più abitato di un grattacielo newyorchese? Almeno l’affitto allo Stato l’hanno pagato, in tutti quegli anni?
Le interpretazioni lasciamole stare, i personaggi – perfettamente stereotipati – pure. I dialoghi, poi, sono imbarazzanti, di un’ovvietà devastante. «Non andare», «Tornerò», «Che cosa sta succedendo?», «AAAaaahhh!». I costumi… be’, non ho fatto caso ai costumi, davvero. Ho solo notato che un qualche personaggio passa da un giaccone pesante (e ci sta, diamine, siamo in Norvegia) alla canottiera. Di notte. Perché? Com’è possibile?
Il tutto, conditelo con cliché sparsi a mani piene e otterrete una pellicola come questa.
Perdonate la recensione molto leggera e caustica, ma con un film del genere non riesco a essere più seria di così.
Ovvio, non ne consiglio la visione.
Citazione:
Cantiamo solo. Leggere e scrivere ci fa venire mal di testa.
(E già dalla citazione si capiscono un bel po’ di cose… – NdR)
Valutazione: due coltelli (solo per la regia).
(Tatiana Sabina Meloni)