Incontro con Claudio Vergnani: come nascono i suoi romanzi
In questo febbraio improvvisamente gelido ci sembrava doveroso riscaldarci un po’ con un’intervista a uno degli autori più interessanti del panorama narrativo di genere. Claudio Vergnani, autore di numerosi romanzi pubblicati con case editrici quali Gargoyle Books, Dunwich Edizioni, Acheron Books e Nero Press Edizioni, ha uno stile tutto suo e contenuti che nascondono sempre temi sociali di una certa importanza.
Ciao e benvenuto nella rubrica Il gatto a nove code.
Pronto? Cominciamo.
1. Il concepimento.
D: Con Nero Press hai pubblicato Per ironia della morte, La torre delle ombre e I vivi, i morti e gli altri, e un altro romanzo è in corso di pubblicazione. Come nascono, in genere, i tuoi romanzi? C’è qualcosa che li accomuna?
R: Nascono tutti da un’idea, un tema portante che servirà da struttura all’intera narrazione. Non si tratta necessariamente di quel che oggi viene definito un “messaggio”, perché ognuno di noi ha la propria bussola morale e cercare di imporre la propria non ha senso e risulterebbe solo noioso, soprattutto in un’opera di intrattenimento. Si tratta però di un concetto che parte da una premessa e si sviluppa nell’arco della narrazione fino a giungere a una conclusione – o più conclusioni – nel finale. Ne La torre delle ombre si trattava di riflettere sulla forma presa dai conflitti nell’attuale società, dalla loro genesi alle forme di violenza in cui sfociano. Ne I vivi, i morti e gli altri la riflessione di base era che a volte i veri pericoli di una catastrofe vanno oltre i danni provocati dalla catastrofe stessa (e oggi, purtroppo, credo che ognuno di noi tocchi con mano questi effetti).
2. La scrittura.
D: In che modo arrivi a dare a un romanzo la sua struttura definitiva?
R: Ne cerco i sottintesi, le sfumature, le contraddizioni. Approfondisco la situazione, creando una base di partenza. Poi affido il comando ai personaggi. Li sento miei, li conosco a fondo, so cosa diranno, come agiranno, come affronteranno le situazioni che di volta in volta si troveranno davanti. È come se li potessi vedere all’opera. Quindi, a me rimane soltanto da raccontare quel che stanno facendo. Da un punto di vista formale, invece, mi appoggio all’editing della CE. Un occhio esterno allenato vede quel che l’autore non è in grado di cogliere.
3. I personaggi.
D: Parlaci di come gestisci i personaggi… o forse sono loro a gestire te?
R: Se un personaggio è ben strutturato/caratterizzato allora “va avanti” per conto suo. Naturalmente ci saranno momenti in cui mi troverò davanti a possibili bivi e come autore dovrò prendere delle decisioni. Ma le scelte fanno parte anche della vita reale, nella quale ogni giorno siamo chiamati a prendere decisioni, e così tutto fila liscio. Non ricordo di essermi mai trovato in difficoltà nel decidere la linea d’azione di un personaggio. Ovviamente questo non significa che poi il romanzo “funzioni”. Quella è tutta un’altra faccenda.
4. Autocritica.
D: Se dovessi dare un giudizio ai tuoi romanzi da lettore, che giudizio sarebbe?
R: Bisognerebbe esaminare singolarmente ogni romanzo. Parlando in generale, i miei romanzi risentono più o meno tutti di una certa prolissità, che però è stata ridotta negli ultimi lavori o nelle riedizioni rivedute e corrette. Francamente non mi convince troppo nemmeno l’eccessivo minimalismo che sembra andare per la maggiore oggi. Probabilmente è tutta questione di pratica, che porta chi scrive a trovare la giusta armonia espositiva a seconda del romanzo, del tema, dei personaggi, della situazione ecc. ecc. Non credo esista una regola. E i gusti rimangono gusti. Ultimamente ho lavorato alla riedizione di un mio vecchio romanzo, cercando di eliminare il superfluo e di rendere l’esposizione più fluida. Alcuni hanno gradito il nuovo taglio, altri mi hanno confidato di aver preferito la versione originale. Gusti, appunto.
5. Il pubblico.
D: Hai avuto un riscontro critico da parte del pubblico?
R: Ti dirò: sono fortunato. Ho sempre avuto riscontri positivi. Non è un ambiente facile, eppure sono stato sempre accolto con simpatia. Mi piace pensare che in parte derivi anche dal fatto che mi pongo in maniera corretta: non mi nascondo dietro un dito e accolgo le critiche senza battere ciglio.
6. L’orrore.
D: Cos’è per te l’orrore?
R: Paradossalmente, per me l’orrore non è legato al soprannaturale o allo splatter o all’ultraviolenza, ma a determinati aspetti della natura umana. Forse suona banale, ma è così.
7. Le tue letture.
D: Quali sono i libri o gli autori che ti hanno formato come scrittore?
R: Essenzialmente si tratta di letture legate alla cosiddetta “letteratura di genere”. Roba che consumavo avidamente da adolescente. Rammento soprattutto alcuni apocrifi di Arsene Lupin che ancora oggi rileggo nei momenti difficili per trarne conforto. Giusto o sbagliato che sia, mi hanno formato anche come persona.
8. Sconsigli da autore.
D: Hai capito bene. Quali sono i tuoi s-consigli per chi vorrebbe pubblicare per la prima volta?
R: La cosa da evitare assolutamente è proporre qualcosa di non realmente sentito e magari scritto solo perché va di moda o perché si inserisce nel filone di quei lavori che non fanno altro che confermare un luogo comune, qualunque esso sia, generando pigri consensi in automatico. A parte ciò, per me, un autore deve correre dei rischi. È vero che il luogo comune offre una strada privilegiata verso il successo, ma è anche vero che come autore avrai solo fatto da megafono per cose lette e rilette.
9. E poi.
D: Quali sono i tuoi progetti futuri?
R: Non ho ancora scritto il romanzo che avrei voluto scrivere – che sentivo che volevo scrivere – da quando ero un adolescente. Il mio progetto è quello. Spero di avere modo di farlo. In un mondo sempre più stereotipato scriverlo, in fondo, non è il problema maggiore.
D: Grazie per il tuo intervento, Claudio, e in bocca al lupo per tutto.
R: Grazie a voi.
(Daniele Picciuti)