Nicola Lombardi e i suoi orrori
Incontriamo, per la Rubrica Il gatto a nove code, Nicola Lombardi, autore per Nero Press Edizioni de I burattini di Mastr’Aligi e I Ragni Zingari, entrambi pubblicati nella collana digitale Innesti.
1. Ciao Nicola! I Ragni Zingari hanno vinto la prima edizione del Premio Polidori per la letteratura horror. Te lo saresti aspettato?
N: Direi proprio di no, soprattutto considerando che mi sono ritrovato in finale nientemeno che con Arona e Fantelli. Certo, quando si partecipa a un concorso, di qualunque genere, si spera sempre come minimo di piazzarsi dignitosamente, è ovvio. Per cui, posso senz’altro risponderti: non me lo aspettavo, ma ci speravo.
2. L’accurata ambientazione storica de I Ragni Zingari colpisce fin da subito, in che maniera ti sei documentato?
N: Ho integrato la lettura di Storia d’Italia di Montanelli e Gervaso consultando vari siti di approfondimento storico. Ma un aiuto prezioso mi è venuto dalle chiacchierate con alcuni anziani professori, che mi hanno fornito testimonianze colorite e ricche di pathos.
3. Perché proprio i ragni?
N: Mi hanno sempre fatto un gran ribrezzo. Non è colpa loro, e neppure mia. Non soffro di aracnofobia in senso stretto, però meno ne vedo meglio sto. Probabilmente questa repulsione risale all’infanzia. Ricordo ancora che un giorno mi capitò fra le mani un fumetto di Tex Willer in cui un uomo veniva sopraffatto da un ragno grande quanto lui (inviatogli da Mefisto, o forse da Yama) che lo immobilizzava supino nel letto. Quel disegno mi ha semplicemente terrorizzato. Sospetto che anche il film L’invasione dei ragni giganti abbia fatto la sua parte, così come un vecchio telefilm di Sherlock Holmes con Basil Rathbone. Detto ciò, ho sempre visto nei grandi, famelici, quasi alieni occhi del ragno un riflesso delle nostre paure più antiche e inestirpabili. Il ragno è Orrore primordiale, molto più del serpente.
4. Parliamo invece de I burattini di Mastr’Aligi. Cosa credi incuta più terrore, la figura del burattinaio in generale o l’idea di un pupazzo nelle sue mani?
N: Direi il pupazzo, anche se in effetti nel mio racconto il motore dell’incubo è il burattinaio. Comunque la bambola, o in generale ogni manufatto antropomorfo, scatena in noi inquietudini che hanno radici profondissime, anche se all’apparenza non le riconosciamo. C’è di mezzo l’inconscio, e spiegandoci il concetto di ‘perturbante’ Freud è stato molto chiaro. Il burattino, volenti o nolenti, rientra nella categoria degli stimoli perturbanti, e l’idea della possibilità che possa rivelarsi animato di vita propria va a pungolare aree della nostra psiche nascoste anche a noi stessi, là dove covano come braci inestinguibili le nostre paure infantili, primitive.
5. L’orrore per Nicola Lombardi.
N: La presa di coscienza della nostra condizione e dei mille potenziali inferni a cui siamo esposti per il solo fatto di esistere, qui e ora, nostro malgrado. L’urlo di Munch, in altre parole.
6. Progetti futuri?
N: – E’ appena uscito il mio nuovo romanzo, La Cisterna, mentre è praticamente già pronta la prima stesura di un altro, scritto a quattro mani con Luigi Boccia. E mentre attendo l’arrivo della mia traduzione del romanzo di Seabury Quinn La sposa del diavolo sto lavorando alla traduzione dell’autobiografia del regista William Castle.
7. Un titolo Nero Press che consiglieresti.
N: Uno solo? Be’, L’autunno di Montebuio, di Arona & Des Gouges, titolo a cui in veste di giurato ho assegnato la mia preferenza per la seconda edizione del Premio Polidori.
8. La domanda cattiva: un autore horror che ritieni sopravvalutato.
N: A domanda cattiva, risposta diplomatica: se parliamo di autori italiani contemporanei, bene o male ci si conosce tutti; alcuni mi piacciono molto, alcuni abbastanza, altri meno, ma dal momento che non mi va di farmi dei nemici ti dovrai accontentare di un pacifico ‘no comment’. Se invece posso prendere le distanze, nel tempo e nello spazio, ti confesso che non ho mai digerito del tutto Robert Aickman…
9. Cosa pensi dell’editoria italiana, oggi?
N: Domanda a maglie molto larghe a cui rispondo d’istinto con tre aggettivi: avvilente, omologante e ruffiana. Mi riferisco ovviamente alla grande editoria, quella che ha il potere di imporre sul mercato i propri titoli e i propri autori, quella che coltiva e lusinga ogni fatuità popolare e che intasa le librerie con prodotti che fanno cadere le braccia. Noi ‘orrorofili’ stiamo assistendo da anni, per esempio, alla triste metamorfosi subita dagli scaffali dedicati al nostro genere preferito. Avete visto, no? È tutta una melensa invasione di titoli e copertine che non si possono guardare, a metà tra Liala in versione dark e Harmony scritti da Mercoledì Addams. Insopportabili. Scusate l’acredine, ma faccio parte di una generazione che sul fronte horror ha visto fiorire proposte di ben altro spessore, e che oggi non trova più. A parte lo zoccolo duro, King e pochi altri, chi fra i grandi autori d’oltre confine riesce più a spingersi fino a noi? Per questo sto assistendo con interesse alla recente tendenza – ancora timida, ma senz’altro destinata a dilagare – degli autori horror nostrani ad aprirsi verso i mercati internazionali. È una sorta di emigrazione artistica, inevitabile. D’altronde, l’urlo si dirige sempre dove ci sono orecchie che lo possano sentire.
Grazie Nicola per le tue risposte, e, per dirla all’americana, Good Luck!
(Daniele Picciuti)