Una scuola come le altre, di Gianmarco Perboni

Appena mi è arrivato questo libro di Gianmarco Perboni, sono sobbalzato. Caspita, l’autore di Perle ai porci – meravigliosa panoramica sui ragazzi frequentanti le scuole superiori in Italia, un testo che dovrebbe essere adottato da qualsiasi istituto come lettura ufficiale e da qualsiasi adolescente per aprirsi un po’ occhi e mente – si è davvero dato al noir? È arrivato a scrivere un genere così antitetico, rispetto a quella sorta di “io speriamo che me la cavo” in salsa liceale che è stata la sua eccellente opera prima? Curiosità e speranza.

Ancora al centro, narratore e protagonista, il nostro professore d’inglese. Solita scuola, solito liceo scientifico nel solito piccolo centro di provincia, da qualche parte, da qualsiasi parte.  Stavolta,  espone al pubblico ludibrio i suoi colleghi, campionario di “professorialità” varia. C’è l’eterno insoddisfatto, il bigotto tormentato da pruriti sessuali, la bellissima neoprof appena arrivata, il propositore di idee che considera geniali e redditizie, quando invece sono inutili e disastrose. E riunioni di classe eternamente vuote, bidelle onnipotenti e tiranniche, genitori invadenti. Finché nel liceo scoppia la grafomania. Non appena si viene a sapere che il salace professore collabora con una casa editrice per tradurre testi. Tutti vogliono scrivere qualcosa, tutti sperano di essere pubblicati, magari con l’aiutino del suddetto docente, a cui consegnano le loro sconclusionate opere. Professori e anche studenti. Solo che uno di questi ultimi, il capace e volenteroso Baroncini, muore. Incidente in motorino, ufficialmente. Fato? Voglia di farla finita? “Spintarella” esterna? La chiave è forse nello scritto che il ragazzo ha consegnato, fra i tanti, al prof, e che fra i tanti è rimasto in un cassetto? Tra rimorsi per non aver teso una mano che forse sarebbe stata salvifica, crisi personali e familiari, e colleghi da fumetto, il professor Perboni prova a vederci chiaro, scoperchiando un pentolone bollente sulle insane abitudini di certa gioventù studentesca. E sulla spietata cupidigia di chi la sa manovrare. Alla fine molti, ovviamente, non saranno più quel che erano, o che sembravano.

Valutazione difficile, questa. Lo stile è quello, assolutamente ironico, pungente, oserei dire dissacrante, che si è scoperto, supernova abbagliante, in Perle ai porci. La galleria di personaggi è fumettistica, alcuni sono assolutamente irresistibili e riuscitissimi, soprattutto l’amico che crea fortune dalla dabbenaggine altrui. Le stilettate sono in realtà colpi di sciabola a una classe insegnante annoiata e profondamente disillusa. Anche la drammatica vicenda personale del protagonista, unica e comunissima, è resa in modo partecipe e coinvolgente. L’opera è esente da errori, sintattici e di punteggiatura, il che è molto meno scontato di quanto dovrebbe. La narrazione in prima persona poi permette al lettore di immedesimarsi, non identificarsi, col professor Perboni di deamicisiani richiami. Di infilarsi dentro le sue debolezze e vivisezionarle.

Il fatto però è che questa non è una raccolta. È un romanzo. Con tanta cupezza, per di più. Che però alla fine rimane coerente, lascia col fiato sospeso e segna, soprattutto ferisce. Come suppongo sia nelle intenzioni dell’autore. Certo, qua e là si nota un eccesso di “macchiettismo”, per certi versi non totalmente funzionale al romanzo. Che qualche volta resta sospeso in mezzo al guado, tra ironia e amarezza, tra rosa e nero. Senza che i due colori si miscelino del tutto. Alla fine però, restano sedimentate nel lettore entrambe le componenti in modo pieno, sorrisi e fiele, seppure un po’ compartimentati tra loro. Assieme a una punta di sensazione che questo sia un libro discretamente “su ordinazione”, frutto più della volontà di dare un seguito al successo editoriale di Perle ai porci che dalla reale ispirazione.

Tutto sommato, Una scuola come le altre si legge volentieri,  lievemente e rapidamente, anche grazie al costo contenuto. È consigliato, stavolta però soprattutto ai genitori dei liceali piuttosto che ai loro figli. Può servire molto anche a loro.

(Giovanni Cattaneo)