L’ombra del bosco scarno, di Massimo Rossi
Le montagne. Inizio e fine di qualsiasi panorama. Silenzi immensi, colori accecanti, profumi intensi. Eterno amplesso con madre natura, inebriante sensazione di essere sempre in cima, fisicamente ma anche metaforicamente. Al di sopra di tutto e tutti, arroccati, proteggendosi il più possibile per ripararsi dai mali che arrivano dal basso. O forse per celare i propri.
Una valle alpina, volutamente chiusa su se stessa. Una comunità che ha scelto di isolarsi il più possibile dal resto del mondo, dandosi regole etiche proprie. Evitando per quanto possibile contaminazioni, anche mescolanze. Dove è uso sposarsi tra valligiani, ricondurre le diatribe alla saggezza del parroco, agli usi locali, alla regola del Beato Mathias, il venerato patrono del luogo. All’improvviso però, la quiete apparente della valle viene turbata. Un famoso ed eccentrico stilista svizzero acquista una delle bellissime proprietà della zona, ne fa il suo nido d’amore, omosessuale, e il centro mondanissimo e chiassoso del suo universo. Feste baccanaliche, frequentazioni estreme, un pizzico di superbo distacco, ma soprattutto la ricercata chiusura degli abitanti, fanno apparire i nuovi arrivati come corpi estranei, una specie di virus da debellare in ogni modo possibile. Quando poi un bambino scompare misteriosamente nel bosco, per poi essere ritrovato vittima della violenza più cupa, additare gli “estranei” come unici e ovvi colpevoli diventa attività comune a tutti i valligiani. Toccherà a Helena, ex poliziotta e psicologa, scoprire la verità, appurando che spesso il male peggiore va ricercato non del diverso e nella paura di esso, ma molto più vicino.
Ne L’Ombra del bosco scarno siamo vicini ad un buon risultato. La trama è molto ben organizzata e coerente, la complicatissima ma fondamentale parte topografica è resa con dovizia e perizia, seppur risulta essenziale la pianta dei luoghi inserita a inizio e fine libro. Il romanzo tratta temi forti e coraggiosi, seppure ormai molto battuti. Efficace anche la morale della vicenda, riconducibile alla xenofobia come rifugio o diversivo dai fantasmi che sono invece uguali a noi, vicini a noi, dentro di noi. Certo, per chi è un pochino avvezzo a certi tipi di intrecci, la soluzione finale può apparire un po’ scontata, fin dalle prime pagine il lettore più smaliziato già conosce la risposta finale dell’enigma. Risposta che peraltro arriva attraverso un percorso certamente ben proposto, che si srotola senza facili scorciatoie. Anche i personaggi, nella loro estremizzazione, appaiono un tantino stereotipati. In compenso, la descrizione ambientale è davvero splendida; leggendo, quasi si respira l’aria rarefatta e limpida dei luoghi, si avverte il profumo dei pini e il piacevole fresco tipico delle altitudini alpine. La scrittura è semplice e scorrevole, senza grandi vette linguistiche ma comprensibilissima. E figlia di un processo di editing finalmente perfetto, qualità sempre più rara nell’editoria odierna, complimenti davvero a chi lo ha svolto.
Godibile in una “smoggatissima” giornata cittadina, quando il puzzo costante degli scarichi di auto e riscaldamenti fa sognare vette innevate, gelidi ruscelli, boschi muschiosi. Sperando che in quei boschi non si incontrino mostri od orchi, per di più consanguinei.
(Giovanni Cattaneo)