Le ore buie, di Vincenzo Barone Lumaga
Il crepuscolo. Il cuore della notte. E la di essa agonia, nelle ore che precedono l’alba. Tre momenti oscuri. Tre momenti in cui le ombre perdono visibilità ma prendono forma, in cui la mente, solo apparentemente lucida, ingigantisce i suoi mostri. Dove i fantasmi danzano beffardi e inafferrabili davanti a noi. Che non possiamo scacciarli come fossero mosche. Le ore buie.
Sono diciassette i racconti che ci conducono nella metà del giorno in cui Selene prende il posto di Elios e ci conduce verso Eos. Brevi e brevissimi lampi di terrore nel buio, derivati da leggende tradizionali, storie surreali o orrori odierni, vicini, in questo ideale percorso attraverso quella che tutti chiamano genericamente notte. Al crepuscolo, si parte dall’ancestrale lotta di due umani che umani non sono, per passare a tatuaggi che sono metaforica rappresentazione di un io represso. Ci son navi popolate di nulla nel triangolo delle Bermuda, musicisti sull’orlo dell’abisso lisergico e un alienato che per sentirsi “essere” ghermisce stille di vita altrui. Nell’ora delle streghe, un necrofilo conosce i frutti della sua perversione, un uomo vede disgregarsi corpo e mente, un musicista suona una struggente melodia per un pubblico molto speciale. E ancora, un bambino trova una reliquia piuttosto reattiva, una ragazza diventa vittima delle sue paure e un amore finisce nel modo più tragico. Si è fatto tardi, o presto. Siamo ormai prima dell’alba. Quando strane creature che popolano boschi, mari e campi reclamano il loro tributo. O quando l’ultimo soffio di vita, per due non basta.
Alti e bassi in questa raccolta di Vincenzo Barone Lumaga. Trattandosi di racconti brevi e brevissimi, occorrerebbero parole intense per prendere il lettore alla gola e allo stomaco. In alcuni casi, invece, la vicenda è appena accennata, non si fa a tempo ad entrare nelle pagine che tutto è già compiuto, volato via. Senza lasciare alcun retrogusto. Quando d’altro canto l’autore riesce a sviluppare un po’ di più la storia, la sua buona fantasia creativa e il suo stile limpido, con costante e ricercato sottofondo musicale, suscitano certamente un piccolo brivido o una lacrima amara. Perché la sensazione è che Vincenzo Barone Lumaga sappia scrivere, sia dotato delle rare virtù di perfetta intellegibilità e di spiccata vena costruttiva, ma è come se non avesse troppo tempo per farlo e tiri via senza davvero andare fino in fondo. Avendo anche un notevole eclettismo espressivo. La scrittura si adatta in modo davvero camaleontico alle vicende, che spaziano in un ampio orizzonte comprendente antiche tradizioni e nuove alienazioni, sogni lontani e incubi vicinissimi. Ecco, in tutte queste diverse condizioni lo stile calza davvero come un guanto su misura allo scenario della storia.
E la summa inevitabile è perciò una specie di irriverente invito all’autore ad approfondirsi, a dedicarsi più accuratamente a sviluppare le sue indubbie capacità, usandole per costruzioni architettonicamente più ardite.
(Giovanni Cattaneo)