L’alibi della vittima, di Giovanna Repetto
Disprezzo per le persone incerte. E volontà di ottenere tutto, a qualunque costo, senza morale, senza freni. Per il solo gusto di sentirsi superiore, sentirsi onnipotente. Finchè vita resti.
Rocca Persa, paesino nei dintorni di Roma. Di fantasia, ma verosimile, somigliante a mille altri attorno alla capitale. Apparente tranquillità, apparente serenità. Apparente, appunto. Perché in questi grossi agglomerati di case e basta, dove troppo spesso non si sa come arrivare a sera, il consumo di sostanze che ti trasportano in paradisi artificiali è diffusissimo. In questo mare nuota Memè, spacciatore un pò misterioso, la cui identità resta celata. Per il maresciallo Trevisan, che gli dà la caccia, è un mistero perfino Greta, che gli concede generosamente le sue grazie, sperando un giorno di soppiantarlo nelle sue attività. Greta bellissima, Greta che non esita, e non ha mai esitato, a usare se stessa per ottenere tutto, dagli uomini e dalle donne, Greta che, facendosi fottere, fotte. In modo irreversibile. Nel frattempo, l’assistente sociale Mary e la psicologa Lina tentano di debellare il problema alla radice, cercando percorsi di riabilitazione per vittime in cui la droga non è mai fine unico, ma diventa medicina malata per inquietudini più profonde. Quando, in un appartamento di Roma, viene ritrovato il cadavere di Memè, tutti gli abitanti di Rocca Persa diventano sospettati, tutti sembrano avere un alibi e un movente. Ma chi l’ha ucciso?
Più che cercare L’alibi della vittima, questo libro di Giovanna Repetto sembra la cronaca del festival dell’ormone impazzito. Al considerevole ritmo di un orgasmo ogni dieci pagine.
Le donne, tutte assolutamente in calore, che si eccitano continuamente nei modi più disparati, addirittura appoggiandosi alle mattonelle del bagno. Gli uomini, tutti completamente alla mercé della fatalissima Greta, che non ha problemi a concedersi a chiunque, maschi, femmine, buoni e cattivi, financo all’orripilante patrigno, fin dall’età adolescenziale, per trarne chissà quale vantaggio. Ricavandone, sempre e comunque, l’immancabile piacere.
In questo carosello, in questo continuo, martellante, onnipresente flusso di pulsioni maliziose, passano purtroppo in secondo piano le cose buone che si intravedono, dal modo di scrivere curato e dettagliato nei minimi particolari, dalla’intreccio curato, dagli spunti di riflessione sul mondo della tossicodipendenza e delle malattie sessualmente trasmissibili, viste dal punto di vista di chi le trasmette. Purtroppo, invece, si torna troppo spesso al ricorrente “fottere o farsi fottere, in senso letterale”, vessillo, marchio che caratterizza l’opera.
Perché questo spreco di talento? Questa dispersione sull’altare del pruriginoso che incuriosisce e forse fa vendere? L’autrice è una psicologa e lo dimostra mirabilmente, analizzando con gli occhi di Lina, l’addetta del Servizio per le Tossicodipendenze del paese, comportamenti e reazioni di quel sottomondo disperato, in bilico tra la volontà di recupero e la voglia di autodistruzione. È abile tessitrice di trame, paziente e meticolosa. Davvero, non era necessario questo fastidioso sovraccarico.
Purtroppo, adatto solo a curiosi voyeuristi, che con la scusa di leggere un noir possono sollazzarsi pensando alle fulve chiome dell’irresistibile Greta, o alle generose forme mediterranee di Anna.
(Giovanni Cattaneo)