La notte raccolgo fiori di carne, di Giorgio Pirazzini

Essere vittima, essere carnefice. Essere entrambi in una volta sola. Passare di ruolo, scendere la scala che porta agli inferi dell’animo. Vendetta che diventa godimento. Libertà cercata e rifiutata, incatenandosi assieme ai propri demoni. Avendo cura di buttare la chiave del lucchetto.
Praga, o ovunque, oggi. Ritrovarsi prigioniero di quattro sadici, in una lussuosa cantina senza uscite, inchiodato (quasi letteralmente) ad assistere, e doverne scriverne, al terribile supplizio di vittime anestetizzate. Rinchiuse dentro anguste, quasi uterine, valigie, per esser viste morire lentamente. Assaporando l’agonia e gli spasmi mentre si beve vino e si fumano sigari. Obbligato a provarne direttamente le sensazioni, ma non fino allo stremo, solo un po’, tanto per poterle meglio trasferire su carta. Tentare di conquistare la fiducia degli aguzzini, conquistandola, per sopraffarli. Ribaltando la prospettiva, diventando a propria volta carnefice, costringendo i carcerieri a subire nuove, più raccapriccianti, torture. Rendendosi padrone e dominatore. Rivalsa che eccita, che piace e non libera. Incolla. Agli stessi spiriti neri da cui ci si è difesi prima e impadroniti poi. Rimescolando i ruoli, assurgendosi a loro pari, diventando uno di loro. Mentori infernali di un Telemaco trasposto in novello Mengele, ispiratore di nuovi supplizi. Fino a?
Il claustrofobico romanzo di Giorgio Pirazzini, trentacinquenne autore faentino qui alla sua terza opera, ci conduce con mano decisa attraverso una buia scala che sembra arrivi direttamente all’inferno. Il percorso del protagonista, che ne scende rapidamente (troppo?) tutti i gradini, è un viaggio attraverso il terrore più puro, alla sua esorcizzazione, al suo rivoltamento. I personaggi, appena abbozzati e un filo stereotipati, si scambiano costantemente i ruoli all’interno di un singolarissimo contesto microsociale, dove chi apparentemente domina, in realtà è dominato, il vero leader del gruppo è sapientemente celato, i singoli comportamenti individuali seguono un percorso coerentemente singolare. Il ritmo incalzante-quasi frettoloso non lascia davvero respiro, in una spirale di rara, intensa, inumanità. E il senso di chiuso. Costante. Soffocante. Clangore di catenacci, porte sprangate, spazi bui e nauseabondi, legacci e mutilazioni. E carne. Sanguinolenta, macellata, straziata.
Da leggere, rallentando un po’ il ritmo con brevi pause, in uno spazio assolutamente aperto. In mezzo alla natura, possibilmente in una giornata fresca e ventilata. Muovendosi sulla sedia. Alzandosi, spesso. E alzando gli occhi all’orizzonte più ampio che ci sia, di tanto in tanto.

(Giovanni Cattaneo)