La Mano Tagliata, di Douglas Presto & Lincoln Child
Era da tempo che non tornavo a immergermi nelle storie dell’agente speciale Pendergast, nonostante abbia sempre apprezzato la penna del malefico duo Preston/Child. Mi dispiace che il mio ritorno all’ovile coincida con quello che è, almeno fino a questo momento, l’episodio più debole della saga. La prima parte della vicenda è soporifera: quel poco che succede è di una lentezza disarmante. Vengono ripresi molti dei personaggi di romanzi passati, ma non è ben chiaro quale sia il loro ruolo, cosa che non viene chiarita in questo contesto. Il personaggio del giornalista “sfigato” poteva essere interessante, ma anche il suo ruolo diviene marginale e il sospetto che sia servito solo a macinare pagine (minutaggio, direbbe René Ferretti) mi ha sfiorato più di una volta. Il modo in cui abbandona la storia non ha fatto che acuire tale pensiero. L’elemento che però mi ha più fatto storcere il naso è stato l’asse portante della vicenda, che appare vacillare in più di un’occasione e non tanto per la variazione sul tema (da investigazioni su casi più o meno macabri ci troviamo invischiati solo nella vita privata del protagonista) ma per la coerenza interna del romanzo. Tracciamo rapidamente uno schema.
Esterhazy vuole accoppare Pendergast.
Pendergast vuole vendircarsi di Esterhazy.
Esterhazy tende una trappola a Pendergast insieme ai cattivoni.
Esterhazy ha paura che i cattivoni possano comportarsi male anche con lui.
I due si alleano contro i cattivi in questione.
No. Le motivazioni per cui si crea questa unione non stanno davvero in piedi. A poco serve il colpo di scena finale – in parte telefonato sin dalle prime pagine – a risollevare le sorti di un romanzo riuscito in modo molto parziale e che tanto deve a un passato glorioso che spero non continui a venir deturpato in questo modo.
(Mauro Saracino)