Dalla porta dell’inferno al Cristo-fungo, l’uso di sostanze allucinogene nell’antichità
“Turchia: scoperta porta dell’inferno” ha intitolato recentemente un articolo dell’Ansa, poi riproposto un po’ dappertutto in rete. La scoperta archeologica sembra sia stata effettuata da un gruppo di ricercatori italiani capitanati dall’archeologo Franco D’Andria nei pressi di Hierapolis. Il tempio Ploutonion, dedicato per l’appunto a Plutone, sembra fosse centro di riti religiosi che includevano anche il sacrificio animale. Ciò che rendeva questo posto tanto particolare era la presenza di gas velenosi, elemento che ben si sposa con l’immaginario collettivo della “porta dell’inferno”.
In realtà va sottolineato che luoghi simili furono spesso usati come luogo di culto nell’antichità, dato che i gas emessi dal terreno inducevano stati di trance. Ad esempio, il tempio del celeberrimo oracolo di Delfi poggia su una frattura da cui scaturiscono fumi allucinogeni.
Secondo la leggenda, Temistocle, generale ateniese, si rivolse alla sacerdotessa di Delfi per chiedere consiglio su come salvare Atene dall’avanzata dei Persiani. La sacerdotessa si sarebbe avvalsa per l’appunto di questo fenomeno naturale per autoindursi uno stato di trance, consigliando al generale di proteggere Atene con un “muro di legno”. Temistocle interpretò il “muro di legno” come metafora per la flotta navale. Le risposte dell’oracolo, a testimonianza dell’uso dei gas per alterare gli stati di coscienza, erano spesso inarticolate e criptiche. In ogni modo, Atene fu salvata.
Per molto tempo nel mondo dell’archeologia si è creduto che l’effetto dei fumi allucinogeni fosse solo un’invenzione mitologica. Le cose cambiarono quando i due ricercatori della Wesleyan University del Connecticut, Hale e Jelle De Boer individuarono la frattura in questione che per via dell’attività sismica sembrerebbe capace di emettere gas Radon.
L’uso di sostanze allucinogeni era pratica diffusissima nell’antichità, specie in ambito religioso. Le pratiche includevano anche esperienze mistiche. Analizzando i manoscritti del Mar Morto, il saggista John Allegro sostenne che il Cristo delle sacre scritture non era in realtà un uomo, quanto il fungo Amanita Muscaria, capace di indurre esperienze mistiche. Ancora oggi, nelle pratiche sciamaniche del Centro America, funghi e piante vengono in effetti chiamati con i nomi dei santi. L’analisi di Allegro, che venne proposta la prima volta all’interno del libro Il fungo sacro e la croce, fu molto ampia, spaziando dall’analisi linguistica a quella simbolica. L’Amanita Muscaria verrebbe simboleggiata sia dal costume indossato da Babbo Natale (il fungo veniva spesso essiccato appendendolo all’albero e da qui nascerebbe la tradizione dell’albero natalizio) agli abiti ecclesiastici. Nascendo senza semi, il fungo sarebbe “nato da una vergine”, ovvero dal terreno incontaminato.
Allegro scriveva: «Soltanto Dio ha la facoltà di “legare” e “sciogliere”; per gli adoratori del sacro fungo, la deità si trova in questo ed offriva ai suoi servi la “chiave” per una nuova e meravigliosa esperienza mistica. Era questa “rinascita”, come veniva chiamata, che rimetteva i debiti del passato e offriva la promessa di un futuro libero dal “peccato” culturale che impediva la comunicazione diretta dell’iniziato con Dio.»
Innumerevoli sono pure le rappresentazioni dei funghi nell’arte cristiana.
Vediamo così che il rapporto fra religione e sostanze capaci di alterare la coscienza, espandendo le capacità percettive della persona, è stato sempre strettissimo, per quanto poco noto al pubblico generale.
(Roberto Bommarito)