Creature, leggende e streghe della Val di Fassa
Oggi l’Almanacco del Crepuscolo vi porta in Val di Fassa, luogo sospeso tra sogno e realtà, situato nel Trentino orientale e facente parte delle bellissime valli dolomitiche.
Come tutte le regioni ricche di tradizone popolare anche la Val di Fassa è stata a lungo caratterizzata da quella singolare commistione tra religione e folklore che apparteneva a tutta l’Italia rurale del secolo scorso.
In questa valle era forte la credenza che delle creature riconducibili in qualche modo al “Piccolo Popolo” abitassero boschi, monti e fonti d’acqua, praticamente a pochi passi da dove gli esseri umani avevano i loro villaggi e i loro pascoli.
Vi erano per esempio gli Uomini Selvatici, che in Trentino prendono il nome Salvan. Si trattava di esseri misteriosi, a volte visti come divinità tutelari delle selve e dei raccolti (sulla fattispecie degli antichi fauni romani), altre volte temuti come orchi vendicativi.
Le montagne e i fiumi appartenevano invece alle Vivenes, donne bellissime e sagge, spesso in contatto con boscaioli e contadini, a cui regalavano previsioni sul tempo e consigli per la semina e la mietitura. Non solo: secondo la leggenda le Vivenes comprendevano il linguaggio delle civette, che portavano a loro le notizie provenienti dalle altre valli.
Le loro controparti malvage erano le Bregostenes, che non avevano nessuna simpatia per gli esseri umani. Oltre a derubarli e a danneggiare i raccolti, esse praticavano il più classico e abominevole peccato attribuito ad alcune creature del Piccolo Popolo: lo scambio di neonati. Intrufolandosi nelle case dei contadini rubavano i loro bambini in fasce, lasciando in cambio delle creature brutte e deformi, che però agli occhi umani apparivano tali e quali i neonati rapiti.
Intermediarie tra il mondo fatato e quello terreno, concreto e visibile, erano le Stries, le streghe. Nella Val di Fassa, come in moltissime altre comunità rurali, la parola “strega” aveva un forte connotato negativo. Esse erano accusate di avvelenare i pascoli, di danneggiare i raccolti, di lanciare il malocchio e di mercanteggiare con creature quali le Bregostenes. Quando una donna veniva riconosciuta come strega ci si premurava di cacciarla dal villaggio, affinché non potesse danneggiare la comunità né ricattarla.
L’ultima strega di cui narrano le cronache della valle fu cacciata a inizio Novecento. Si trattava di una donna perfida che provocava dissidi e controversie tra i compaesani, facendo ricorso a malie, malalingua e malocchio.
Una volta scoperta nel villaggio si creò un piccolo ma coraggioso gruppo di persone che escogitò un piano per cacciarla dalla comunità. Con una scusa banale i “congiurati” allontanarono la strega dalla comunità, quindi attaccarono un crocifisso di legno all’esterno dell’ultima casa del villaggio, perché la tradizione voleva che, se un crocifisso chiudeva al Male la via, nessun Male sarebbe più potuto passare da quella via.
Ritornando a casa come se niente fosse, la strega cercò di oltrepassare il confine tra il bosco e il paese, rappresentato dalla casa sulla quale era stato appeso il crocifisso, ma una forza misteriosa e invisibile glielo impedì.
Non riusciva più a procedere in avanti, verso il villaggio, bensì solo lateralmente e all’indietro. Per quanto corresse su e giù cercando una breccia nella protezione divina, non riuscì a entrare in paese.
Alla fine rinunciò, con gran giubilo dei compaesani, finalmente liberi del pericolo.
Scomparendo nel bosco la strega lanciò una maledizione: una volta caduto il crocifisso sarebbe tornata, portando con sé una congrega di megere e stries, e insieme avrebbero raso al suolo il villaggio. Profezia non ancora compiuta, visto che la croce benedetta è ancora appesa all’ultima casa del paese.
(Alessandro Girola)